«Donne mai più mutilate»

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L’evento è stato seguito in diretta da una sala del Partito radicale a Roma e accolto con commozione e entusiasmo dai presenti (in maggioranza donne, ma non solo). E soprattutto da Emma Bonino che con l’associazione Non c’è pace senza giustizia (Npsg), dal 2000, è stata una delle protagoniste della campagna per la messa al bando di una delle pratiche più crudeli inflitte al corpo della donna, fin da quando è bambina. Accanto a Emma Bonino, ancora una volta c’era Khady Koita, presidente dell’associazione La palabre (la parola), perché non si può tacere di fronte a tanto orrore. Khady, senegalese, ha vissuto sulla propria pelle, quando aveva sette anni, la crudeltà  della mutilazione, che ha raccontato in un libro (Mutilata, ed. Cairo). La mutilazione è la prima, quella più atroce, delle violenze subite da donne africane (ma la pratica è diffusa anche in Arabia e nell’Asia meridionale, oltre che in Occidente nelle comunità  di immigrazione). Inconcepibile è che la mutilazione, detta anche infibulazione, viene praticata da donne – spesso vecchie mammane, ma a volte anche da donne più giovani che lo fanno per soldi – su bambine, con la complicità  delle madri che non ignorano il dolore che loro stesse hanno provato. La mutilazione è una violazione dei diritti umani.
Ci sono diverse forme di infibulazione, più o meno devastante. Molte bambine muoino in seguito alla mutilazione per la mancanza di igiene che provoca infezioni e per emorragie. La mutilazione consiste nell’escissione del clitoride (per evitare che la donna possa godere durante un rapporto sessuale) e il taglio delle piccoli e grandi labbra – con rasoi, un pezzo di vetro o altri strumenti casuali – poi ricucite con filo o spine, spesso di acacia. Questa chiusura, molto pericolosa per la salute della donna, serve a controllarne la vita sessuale. I rapporti sessuali diventano un incubo per la donna, così come la nascita di un figlio.
Sono circa 2 milioni le bambine che ogni anno subiscono questa pratica e si calcola che le donne mutilate al mondo siano circa 140 milioni. La mutilazione è praticata soprattutto in Africa (28 paesi) anche se 19 prevedono sanzioni per chi la pratica. 
Non a caso l’iniziativa della messa al bando è partita dai paesi africani e dalle donne africane che da 26 anni lottano per l’abolizione. Che non può essere garantita da una risoluzione dell’Onu, che non a caso si intitola: «Intensificare gli sforzi globali per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili». Per poter attuare la risoluzione occorrerà  l’adesione degli stati e l’attuazione delle raccomandazioni che non riguardano solo misure punitive, anzi, il testo approvato al palazzo di vetro sottolinea ripetutamente la necessità  di una sensibilizzazione di genere, con campagne e programmi rivolti al pubblico: alle famiglie, alle comunità , ai professionisti, attraverso i media, con dibattiti tv e radio.
Occorre anche sfatare l’idea, falsa, che si tratti di una pratica legata alla religione. L’infibulazione ha origine in Egitto ai tempi dei faraoni, infatti la pratica più devastante si chiama «faraonica», ed è praticata sia da cristiani, che da musulmani e dai falascia (ebrei etiopi). Quello che è condiviso dai fondamentalisti di ogni religione è il controllo sulla sessualità  della donna e sicuramente l’infibulazione è la garanzia maggiore perché la donna non abbia rapporti sessuali e anche quando, dopo il matrimonio, ne ha non provando nessun godimento non cadrà  facilmente in tentazione di commettere un adulterio che peraltro, in molti paesi, le costerebbe la vita. 
Un paradosso in questo contesto è costituito dall’Egitto, dove la signora Mubarak era impegnata nella campagna per la messa al bando delle mutilazioni, mentre i Fratelli musulmani al potere dopo la rivoluzione sovvenzionano l’infibulazione. Ma la rivoluzione non è finita e la «seconda» in corso contro Morsi forse porterà  anche all’uguaglianza di genere, rivendicata dalle «rivoluzionarie» egiziane.


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