Israele, la rivolta dei diplomatici “Sbagliato avviare nuove colonie”

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GERUSALEMME — Frustrati e sconcertati dalla strategia del proprio governo. Incapaci di spiegare alle cancellerie di mezzo mondo la politica estera di Israele. Così si sentono gli ambasciatori dello Stato ebraico che hanno dato vita a un’inedita e clamorosa protesta. Un vero e proprio sfogo, durante la consueta conferenza annuale, domenica a Gerusalemme, che ha preso di mira direttamente il governo Netanyahu e la sua scelta di avviare nuovi insediamenti nei Territori all’indomani della decisione dell’Onu di riconoscere la Palestina come Stato osservatore.
Alla conferenza era il momento del generale Yaakov Amidror, ex capo dell’intelligence militare, ora alla guida del Comitato di sicurezza nazionale ed ascoltato consigliere del premier Benjamin Netanyahu. Dalla platea ha preso la parola l’ambasciatore all’Onu, Ron Prosor, decano della diplomazia israeliana, per chiedere: «Ma qual è la logica dietro la scelta di Israele di avviare nuovi insediamenti un giorno dopo che l’Onu ha votato a favore della Palestina come Stato osservatore?». Ancora prima
che arrivasse la risposta, dai 150 ambasciatori si è levato un applauso che ha rivelato tutti i loro dubbi. Il generale non l’ha presa bene. Lo dimostra la durezza della replica. «Signori, vi ricordo che siete dei servitori dello Stato d’Israele – ha replicato stizzito – se non vi piace la politica del governo potete dimettervi, oppure scendere in politica. Non credo proprio che al Foreign Office a Londra o al Dipartimento di Stato a Washington qualcuno abbia mai applaudito a una critica nei confronti della politica estera dei propri governi ». Il vicedirettore generale del Ministero degli Esteri ha cercato di metterci una pezza: «Nessuna critica – ha spiegato Ran Curiel citato dal quotidiano Yedioth Ahronoth – ma la questione ci preoccupa. Non abbiamo gli strumenti per spiegare la politica estera di questo governo». Ma ormai il danno era fatto e la questione messa in piazza.
Il ministero degli Esteri aveva ufficialmente sconsigliato di prendere misure immediate al voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 29 novembre. Un suggerimento che il governo israeliano non ha accolto, suscitando la condanna di molti governi che hanno immediatamente convocato gli ambasciatori per chiedere spiegazioni. Spiegazioni, ora si sa, che gli ambasciatori di Israele, imbarazzati, non hanno saputo dare.
La protesta dei diplomatici arriva in un momento difficile per il governo Netanyahu. Il 22 gennaio si vota. Il Likud, il partito del premier, nei sondaggi sta perdendo terreno. Il nervosismo è palpabile: il direttore dell’istituto nazionale di statistica è stato licenziato in tronco con una mail dopo aver diffuso dati economici negativi che indicano come Israele stia scivolando verso la recessione. La politica estera è stata al centro di uno scontro tra Netanyahu e il presidente Peres che lo ha duramente attaccato
invitandolo a riprendere il dialogo con l’Anp di Abu Mazen. E in Cisgiordania è tornata a salire la tensione: cinquanta arresti in un mese per sassaiole e molotov contro la guardia di frontiera. Ieri nuovi scontri, nel villaggio di Tamoun, con trenta palestinesi e tre militari feriti, in seguito all’arresto di un membro della Jihad. Uno delle dozzine di episodi di quella che la stampa ha già  nominato una nuova »intifada nascosta».


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