Draghi: «Crescita da metà  del 2013 Avanti con il rigore»

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DAVOS — La «dottrina Draghi» è sempre la stessa. Senza rigore nei conti pubblici («il consolidamento fiscale») è semplicemente illusorio pensare a una crescita corposa e di lunga durata. Questo è ciò che il presidente della Bce aveva detto un anno fa al «World Economic Forum» di Davos; questo è ciò che ha ripetuto ieri davanti alla stessa platea di manager, finanzieri, imprenditori, politici. Ma i pesi sono cambiati. All’inizio del 2012 era vivo il timore che la zona euro potesse spaccarsi e la moneta unica addirittura dissolversi. E a Davos apparve un Draghi «emergenziale» che parlò più come da capo della protezione civile che da banchiere. Ieri, invece, il leader della Bce si è presentato con quel ruolo di controllore e di gran suggeritore che le norme Ue gli attribuiscono.
L’analisi parte da qui: «C’è un contagio positivo sui mercati finanziari, ma non vediamo ancora l’impatto sulle economie reali». Gli interventi della Bce, in particolare gli acquisti di titoli pubblici dei Paesi pericolanti, sembrano aver placato l’ansia delle Borse e degli investitori. Anche Draghi fissa l’appuntamento con la crescita nella seconda metà  del 2013. La Banca centrale manterrà  «una politica monetaria accomodante» (tasso di interesse al minimo, oggi è allo 0,75%), ma ora tocca ai governi spingere. E qui il leader di Francoforte, evocate le immancabili «riforme strutturali» (sostanzialmente welfare e mercato del lavoro), offre due piste. La prima di politica economica: «Non basta dire consolidamento fiscale. Bisogna vedere come sono composte le manovre dei governi. Per esempio, non abbiamo bisogno di aumentare le tasse e tagliare le spese degli investimenti nelle infrastrutture. Occorre esattamente il contrario: ridurre le uscite correnti, salvaguardare gli investimenti e abbassare, se è possibile, le imposte».
L’altra indicazione è, un po’ a sorpresa, di politica pura: «Le esitazioni in materia di disciplina fiscale non pagano. Anzi alla fine si traducono in costi maggiori». Secondo Draghi, dunque, il rigore è una scelta dettata dai canoni economici, ma anche dalla convenienza politica (meglio tagliare subito, che rimandare e dover tagliare ancora di più dopo).
Ci sono poi le banche. Il presidente della Bce richiama il punto di partenza («dal giugno 2011 le banche hanno di fatto smesso di prestare soldi») e delinea il percorso atteso per il 2013. Nel giugno 2012 il Consiglio europeo ha deciso di costruire un sistema di supervisione sulla solidità  degli istituti di credito. Il caso Monte Paschi, per altro mai citato da Draghi, è lì a dimostrare quanto sia fondamentale rafforzare la rete sovranazionale dei controlli. Ci sarà , però, ancora da aspettare: «Noi abbiamo cominciato la preparazione degli aspetti tecnici. Alla fine di marzo Commissione europea, Parlamento e Consiglio dovrebbero concordare le modalità  operative. Il nuovo strumento dovrebbe cominciare a funzionare più o meno fra un anno». Poi Draghi ha spiegato: «È importante capire che non ci sarà  una centralizzazione dei poteri a Francoforte. La supervisione del credito non è come una torta, di cui la Bce si prenderà  una fetta, cioè la competenza sulle grandi banche, lasciando il resto alle autorità  nazionali. Al contrario, il Comitato delle Banche centrali parteciperà  all’attività  della Bce».


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