Un vento riformista sulla regione corrotta

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Quel Berlusconi che riuscì a federarvi i suoi clan affaristici col populismo leghista e un’imprenditorialità  di matrice cattolica votata al profitto. Ieri in piazza Duomo è tornato a manifestarsi quel sommovimento profondo che due anni fa trascinò Giuliano Pisapia alla presa di Palazzo Marino, quando molti ancora credevano che la società  milanese restasse per sua natura indecifrabile dalla cultura progressista, e quindi la sinistra potesse semmai circondarla, come entità  a lei estranea, ma non identificarsi con la sua vocazione di modernità . E invece è proprio nel cuore del suo sistema che hanno cominciato a cadere come birilli i mammasantissima dell’arricchimento facile, i Ligresti e i don Verzè, i Ponzellini e i Daccò, fino alla disgregazione del blocco di potere della destra che partendo da qui era arrivata a prendere Roma.
La grande manifestazione di ieri nella quale si passavano la parola il sindaco Pisapia e il moderato Tabacci, fino alla sinistra sociale di Vendola e all’uomo nuovo della riscossa civica, Umberto Ambrosoli, ha ceduto il testimone a un candidato presidente del Consiglio, Pierluigi Bersani, chiamato a interpretare l’energia di questo tragitto avviato dal basso. La presenza sul palco milanese di Romano Prodi, cioè della personalità  che ha tenuto insieme le diverse anime del riformismo italiano negli anni in cui l’Ulivo contrapponeva una visione europeista all’offensiva berlusconiana, ha riannodato un prezioso filo di continuità : nelle istituzioni italiane e comunitarie il centrosinistra ha espresso già  nel passato un’autorevolezza di governo contraddistinta
da figure come lo stesso Prodi, Ciampi, Padoa-Schioppa, Amato, che oggi ne rappresentano le credenziali di fronte alla comunità  internazionale, sia pure in una situazione economica e sociale drammaticamente deteriorata. La stessa citazione che Prodi ha voluto riservare a Matteo Renzi, uscito sconfitto dalle primarie ma protagonista anch’egli della campagna elettorale, definisce una prospettiva in cui il passato, il presente e il futuro si tengono insieme.
Naturalmente i giochi non sono fatti. Mancano ancora sei giorni al voto, e la Lombardia è lo snodo decisivo di una sfida alla destra che non è ancora vinta. Ma il disonorevole esito della reputazione pubblica di Formigoni, indagato per associazione a delinquere e screditato per le sue bugie e le dilapidazioni del suo stile di vita, conferma che la destra lombarda non ha più figure presentabili da mettere in campo. La sua candidatura in testa alla lista Pdl del Senato, subito dietro a Berlusconi, si configura come un beffardo autogol. E Roberto Maroni, che proprio con Formigoni ha stretto un patto elettorale del quale si sta amaramente pentendo, non a caso da giorni sfugge a ogni confronto pubblico con il candidato civico Ambrosoli.
Un antidoto alla destra della corruzione e dell’illegalità  diffusa è cresciuto dunque dall’interno del sistema inceppato che tanto a lungo ha dominato come se il consenso elettorale le assegnasse una sorta di diritto di saccheggio. La società  milanese e lombarda si è impoverita, è percorsa da legittimi fremiti di collera, ma al suo interno è maturata un’alternativa che da ieri è in grado di proporsi come legittimo progetto di governo nazionale.


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