Beni comuni, una ricchezza ritrovata

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Di una pratica che finalmente ponga i beni comuni alla base di un nuovo patto civico si parla da anni in Lombardia. Ma forse per la prima volta, da un ventennio a questa parte, nella regione del self made man di Arcore, dell’ex sindaco in mutande e dei finanzieri rampanti, oggi ridotti al ruolo di dispensatori di miti consigli, si stanno presentando anche le condizioni perché i beni comuni diventino la chiave di volta di un passaggio in qualche modo epocale, perché atteso da tempo. Da troppo tempo.
Domenica e lunedì il voto in Lombardia non sarà  dunque determinante solo per il computo aritmetico dei seggi, ma anche per la tenuta materiale e complessiva di un Paese che, da qui, potrebbe davvero frantumarsi o cambiare rotta diventando il cantiere di una rinnovata sensibilità  sociale. Al tempo della sfiducia sistemica, del voto di protesta, di un’inquietudine diffusa e tutt’altro che “liquida”- perché fin troppo esposta e raccontata – in Lombardia c’è chi finalmente ha innestato processi virtuosi nel cuore stesso di quella protesta, di quella inquietudine e di quella crisi.
In sostanza, le proposte dei candidati più attenti – va da sé del centro sinistra – della società  civile e di alcuni tra gli studiosi più sensibili delle università  lombarde convergono su un punto: il welfare è il campo cui si gioca oggi la partita della democrazia e della partecipazione responsabile nella costruzione del bene comune. Quello lombardo è forse il campo decisivo di questa partita.
Un welfare allargato, che finalmente comprenda ogni elemento della cura degli altri e di sé: l’istruzione e la cultura, ad esempio. Bisogna pertanto evitare che, nella crisi che investe il social, il welfare venga sempre ridotto alla sua specificità  “sanitaria”. «Niente di più sbagliato, il welfare è un pezzo della democrazia europea, per questo ripartire dal welfare significa rigenerare democrazia e partecipazione», dichiara Johnny Dotti (nessuna parentela con chi scrive), candidato per la Lista Ambrosoli e tra i più attivi nella campagna per i beni comuni, tanto da aver organizzato per domani una Festa dei Beni comuni (h 19:00, Spazio Galdus in via Pompeo Leoni 2 a Milano, con la partecipazione di Umberto Ambrosoli, Mauro Magatti, Giulio Sapelli, Aldo Bonomi, Stefano Boeri).
Se è vero che con i suoi dieci milioni di abitanti la Lombardia ha un Pil pro capite che risulta ancora oggi superiore del 30% alla media italiana, va detto che lo scorso anno al netto della retorica sull’integrazione sociale, la regione per venti anni governata da Formigoni ha visto improvvisamente raddoppiarsi la disoccupazione giovanile, con il conseguente aumento di un disagio che il centro destra non è momentaneamente in grado di capitalizzare in termini simbolici. Un dato su tutti, rivelato dal professor Ranci Ortigara del Politecnico di Milano, dovrebbe indurre a pensare: sono 143.000 le famiglie povere in Lombardia e ben 400.000 le persone che quotidianamente si rivolgono a centri di assistenza.
In questo vuoto di rancore, dove persino “l’immigrato” è sparito dal centro della scena, la Lombardia all’improvviso si accorge di una ricchezza che non è stata del tutto soffocata: quel mutualismo dal basso, quella solidarietà  delle reti che le ha permesso di non soffocare in questi anni di buio. Ora la possibilità  di tirar fuori la testa rivendicando la propria differenza rispetto a chi vorrebbe una Lombardia tutta competizione e niente solidarietà . Il tema dei beni comuni è, così, il grande tema che irrompe grazie ai candidati indipendenti e travolge gli equilibri di segreteria. Mauro Magatti, sociologo dell’Università  Cattolica di Milano, con Dotti ricorda: «La socialità  è un bene finito e dobbiamo ricominciare a rigenerarla. Farlo è possibile, a condizione di mettere in discussione l’immaginario della libertà  che si è affermato in questi anni, imprigionato in una concezione radicalmente individualista. Iniziando da qui si può cominciare a declinare diversamente il rapporto tra economia e società , superando un’economia basata sul consumo per entrare in un’economia finalmente incentrata sul valore del bene comune». Le premesse ci sono, ora bisogna metterle a frutto.


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