I paletti del Colle per l’incarico non esistono governi di minoranza

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Nà‰ GOVERNO di minoranza, né esecutivo di «combattimento », secondo la formula coniata dal segretario del Pd. Per il capo dello Stato la bussola resta la Costituzione e dunque qualunque soluzione dovrà  rispettare anzitutto una condizione imprescindibile: la presenza di una «maggioranza vera» al Senato.
E DI un esecutivo che non si regga sulle assenze o sui voti dati caso per caso.
Rientrato dalla Germania, Giorgio Napolitano ha iniziato a ragionare su come uscire dalla palude del risultato elettorale, con le tre forze principali — M5S, Pd e Pdl — quasi impossibili da coalizzare e l’una contro l’altra armate. L’imperativo comunque è riuscire nell’impresa, senza accedere minimamente all’ipotesi di tornare al voto, perché «un governo bisogna farlo». Così, nelle conversazioni di queste ore, il Presidente sta intanto mettendo nero su bianco i (pochi) punti fermi che guideranno la sua azione nella nuova fase che si apre. Intanto c’è da affrontare la questione Bersani. In quell’invito a evitare «premature categoriche determinazioni di parte», rivolto ieri a tutto l’arco politico, Napolitano in realtà  ha voluto farsi intendere soprattutto dal Pd e da Grillo. Il monito era indirizzato al leader di M5S per i suoi anatemi contro tutto e tutti. Ma anche a Bersani, per via della direzione di mercoledì prossimo, che rischia di restringere troppo il perimetro d’azione del Quirinale con un voto che vincolerà  il Pd su un no assoluto alla collaborazione con Berlusconi.
Dunque Bersani. Il capo dello Stato non esclude affatto di potergli affidare in prima battuta, in quanto leader della coalizione di maggioranza alla Camera, il compito di formare il governo. Sarebbe in quel caso un «governo di scopo», che per Napolitano dovrebbe avere essenzialmente due obiettivi: 1) garantire gli impegni e la permanenza dell’Italia nell’Unione europea; 2) riformare la legge elettorale. Ma se Bersani, bloccato dal veto di Grillo&Casaleggio e chiuso alla collaborazione con il Cavaliere, non dovesse farcela, cosa accadrebbe? Il segretario del Pd non potrebbe sciogliere la riserva e Napolitano non lo manderebbe a schiantarsi a palazzo Madama a fari spenti. A quel punto l’incarico passerebbe a un altro. Niente nomi naturalmente, ma al Colle si usa una formula precisa: sarebbe «un governo del Presidente a responsabilità  parlamentare». È questa la vera carta di riserva.
Se al Quirinale Napolitano si prepara ad affrontare la curva più pericolosa del suo settennato, al quartier generale democratico anche Bersani è consapevole di giocare la partita della vita. «So bene che la strada è stretta — confida agli amici il leader democratico — ma deve essere chiaro che il mio partito con Berlusconi non ci sta. Punto. Un governo sostenuto da noi insieme al Cavaliere sarebbe disastroso per la nostra gente: siamo davanti a una crisi sociale fortissima e servono risposte radicali. L’agenda parlamentare che si apre deve tenerne conto». Insomma non è più il tempo di compromessi al ribasso con il Pdl, come quelli defatiganti che hanno impegnato Monti sul ddl anticorruzione. E proprio la questione morale – con lo scandalo dei tre milioni all’ex senatore Sergio De Gregorio – è l’esempio più eclatante con cui Bersani
spiega in queste ore ai suoi interlocutori, fuori e dentro il partito, perché sia «impossibile» trovarsi sulla stessa sponda del Pdl: «Sui giornali è emerso un caso clamoroso di corruzione parlamentare che portò alla caduta del governo Prodi e adesso, in questo Parlamento, c’è una maggioranza per portare a casa una doverosa e severa legge anticorruzione. I CinqueStelle la vogliono fare? O vogliono perdere questa occasione? ». E se la propaganda grillina insiste sul fatto che il Pd poteva pensarci prima, il segretario s’inalbera: «No, la maggioranza prima ce l’aveva Berlusconi! Vogliamo passare dalle parole ai fatti? Questa legge possiamo farla subito». Dunque in direzione, mercoledì prossimo, Bersani presenterà  un piano di governo e la legge anticorruzione sarà  il punto numero uno. «Tutti — ripete ai collaboratori — si devono togliere dalla testa che noi facciamo l’inciucio. Anche perché comunque si tornerà  al voto in tempi brevi e noi la pagheremmo tantissimo ». Anche Napolitano, impegnato a trovare una maggioranza, «dovrà  capire che noi con il Pdl comunque non ci andiamo ». E su questa barricata Bersani trova anche Nichi Vendola e Bruno Tabacci a dargli man forte. Intanto non se ne sta con le mani in mano. Circola infatti la voce che sarebbero in campo almeno setto-otto “pontieri” per trovare un dialogo con Grillo.
Se finora tutti hanno dato per scontato un appoggio dei senatori centristi a un governo guidato dal Pd, da ultimo anche Mario Monti ha iniziato a chiarirsi le idee su come procedere. Il leader di Scelta Civica resta in silenzio ed evita accuratamente di mettersi nella linea di tiro di Grillo o di Berlusconi. Ma una cosa il Professore, nell’ultima riunione del gabinetto di Scelta Civica, se l’è lasciata sfuggire: «Non è affatto detto che daremo la fiducia a un governo Pd-Grillo». Insomma, «non c’è nulla di scontato».


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