“Tangenti e amici nei ministeri così Nazarbayev ha scatenato la caccia ai dissidenti in fuga”

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ROMA — «Il Kazakhstan sta tirando la rete, per riportare a casa tutti dissidenti e chiudere definitivamente i conti. Non importa dove siamo nascosti, dove abbiamo trovato asilo. Nazarbaev ha uomini, ambasciatori e non solo, di grande valore, molto molto capaci, sguinzagliati in tutto il mondo. E ogni Paese ha il suo tallone d’Achille, da voi è il ministero degli Interni, in Spagna quello della Difesa e la sicurezza nazionale, l’Austria e la Gran Bretagna, compagnie amiche. Al rientro, se ci va bene, ci aspetta il lager e la tortura. Altrimenti, la morte». Muratbek Ketebaev, ex stretto collaboratore di Ablyazov, oggi è rifugiato in Polonia. Astana ha chiesto per lui l’estradizione con l’accusa di concorso in attività sovversive, ma il procuratore di Lublino Piotr Sitarski ha già fatto sapere che non sarà concessa, non essendocene gli estremi giuridici. Braccato, ma fiducioso, Ketebaev ci parla con voce calma e chiara dal suo rifugio, e ci racconta la storia della caccia all’uomo di Nursultan Nazarbaev contro i dissidenti kazaki. Una storia da film.
Mi scusi, signor Ketebaev, ma Mikhtar Ablyazov è ricercato per una storiaccia di soldi, furto e bancarotta fraudolenta che chiamano in campo anche banche straniere. Che c’entra con lei?
«Guardi, le dico solo una cosa: se fossimo stati buoni, non avessimo chiesto riforme, democrazia e libere elezioni, saremmo tutti ricchi e felici. Io negli anni Novanta sono stato vice ministro dell’economia del Kazakhstan. Sono stato vice capo dell’Enel kazako, e della compagnia per la distribuzione del grano. Colossi della nostra economia.
Per un certo periodo ho lavorato fianco a fianco con Ablyazov. Poi nel 2002 ho lasciato gli incarichi per dedicarmi all’attività politica. Abbiamo formato un partito non registrato, Alga, che si batteva per le libertà democratiche. Era una potenza. Ne facevano parte tre quarti dei giovani imprenditori e banchieri, ma anche intellettuali e numerosi funzionari dello Stato. Dava filo da torcere a Nazarbaev »
Ma sono passati più di dieci anni. Perché la rete di Nazarbaev si stringe proprio oggi?
«La data da ricordare è il 16 dicembre 2011. Quel giorno è accaduto qualcosa che ha cambiato la nostra storia. Tutto il Paese si preparava a festeggiare i vent’anni della dichiarazione d’Indipendenza dall’Urss e del regno di Nazarbaev. Doveva essere la sua celebrazione, il giorno del suo trionfo. Invece, nella sperduta cittadina di Zhanaozen, nel cuore del deserto kazako, gli operai scesero in piazza contro gli abusi e i licenziamenti arbitrari, chiedendo salari e condizioni migliori. La polizia sparò sulla folla. Ci sono le immagini di poliziotti che colpiscono alle spalle e finiscono i feriti in terra. Diciotto morti, ufficialmente. In quella zona non ci sono russi, ma nel cimitero russo apparvero tombe senza nome dove sono stati seppelliti i morti “nascosti”. Fu instaurato il coprifuoco, sospeso il voto di gennaio, portata a presidio un’intera guarnigione di diecimila uomini. Le famiglie, terrorizzate, furono pagate profumatamente per il loro silenzio. E noi fummo accusati, di aver sobillato la folla e causato la strage. Ablyazov era a Londra; Vladimir Kozlov fu arrestato; molti furono torturati in modo che non si può raccontare perché confessassero, e solo una, Roza Tuletayeva, resistette alle torture; io fuggii. Nazarbaev non rinuncerà mai alla sua vendetta».
Ma voi eravate davvero implicati?
«Noi avevamo sostenuto in ogni modo gli operai. Con le informazioni, le consulenze e ogni sorta di sostegno».
E con i soldi guadagnati nelle compagnie statali o nelle banche dove avevate lavorato…
«Abbiamo aiutato con tutte le nostre possibilità».
Ma perché l’Interpol da corso ai mandati di cattura internazionale su richiesta kazaka, secondo lei?
«Intanto il Kazakhstan produce dei documenti in base ai quali noi siamo terroristi o avventurieri rei di grandi furti. Tutt’è capire la credibilità di quelle carte. In più, vede, ogni Paese ha i suoi interessi in Kazakhstan. L’Eni per esempio ha un giro d’affari di un valore che si aggira, se non sbaglio, intorno a tre miliardi di dollari. Ce n’è abbastanza per avere una certa influenza sulle decisioni del vostro governo. Inoltre, sa, accanto alle somme ufficialmente registrate nelle compravendite, c’è un grande giro di tangenti, denari, cioè, che tornano nelle tasche del committente, segretamente, in cambio di altri favori.
Cifre gigantesche».
In ogni caso, il nostro ministro degli esteri ha assicurato che Alma Shalabayeva sta benissimo ad Almaty. Che cosa rischiate se vi riportano a casa?
«Sa da noi non ci sono prigioni, solo lager, duri o durissimi. E dove c’è il lager, c’è la tortura. Finché il cannocchiale straniero tiene d’occhio la situazione, nulla si muove. Poi, nel caso migliore, si finisce al lager. Altrimenti, basta un semplice incidente per scomparire. Come accadde al sindaco di Almaty e Ministro per le situazioni d’emergenza Zamanbek Nurkadilov, un mio caro amico, che appena cominciò a fare qualche critica si ritrovò con due colpi sul petto e uno alla testa. Ufficialmente, si è suicidato. O Altynbek Sarsenbaev, ex ministro della stampa e poi leader dell’opposizione. Altro amico caro: fu rapito e ritrovato morto sulla strada. Vuole che le faccia l’elenco dei dissidenti finiti così, vittime di una fatalità?»


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