Egitto, l’ultima sfida degli islamisti

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IL CAIRO — L’ultimatum dato dal governo alla Fratellanza musulmana di abbandonare i presidi nei due quartieri del Cairo dove da un mese centinaia di sostenitori chiedono che Morsi sia reinstaurato alla presidenza, è scaduto ieri sera, e sulla Gazzetta ufficiale è comparso un decreto del presidente ad interim Mansour che dà ai militari il diritto di arrestare i civili. I Fratelli musulmani però hanno risposto che resteranno per le strade nonostante «i massacri» del fine settimana. La domenica è passata tranquilla al Cairo, ma i disordini sono continuati in diverse città di provincia. A Port Said un ragazzo di diciassette anni è morto e una trentina di persone sono state ferite in scontri tra sostenitori e oppositori di Morsi. Anche la responsabilità per i 72 morti del fine settimana (questa l’ultima cifra ufficiale) resta controversa. Il Ministro dell’Interno Ibrahim nega che i suoi poliziotti abbiano usato pistole e fucili mitragliatori. Ha assicurato però che il governo agirà con determinazione contro ogni tentativo di destabilizzare il paese.
I toni tra le due parti diventano ogni giorno più aspri. Anche gli oppositori di Morsi non hanno più voglia di compromessi: «Siamo stufi, la misura è colma. L’anno di Morsi è stato un anno orribile. E se quelli si fanno ammazzare la responsabilità è solo la loro perché non accettano nessuna trattativa», mi ha detto una attivista di uno dei partiti laici riuniti sotto l’ombrello del “Fronte di salvezza nazionale”. In realtà i partiti laici e liberali, che con le loro divisioni frammentazioni sono stati i primi responsabili delle vittorie elettorali dei Fratelli musulmani, restano ancora oggi delle scatole vuote, utili solo per fornire biglietti da visita ai loro rappresentanti, ma privi di qualsiasi capacità di organizzazione.
«La democrazia è compromesso ma per chi crede di essere in possesso della verità assoluta nessun compromesso è possibile» mi dice un ragazzo di Tamarod, il movimento di giovani che aveva mobilitato milioni di persone contro Morsi e ha sostenuto i militari. «Un anno fa si erano presentati come un partito normale, lontano dalle loro originarie tendenze fondamentaliste, tanto che al Zawahiri, il numero due di Al Qaeda, li accusò di tradimento. Ma era tutta una grande bugia». Assolutamente falsi, sul modello dei tanti video messi in circolazione in Siria dai ribelli, sarebbero anche secondo lui i video sulle violenze postati dai Fratelli musulmani: si vede perfino, dicono, un presunto morto, avvolto in un lenzuolo, con i calzini ai piedi, mentre si sa che i cadaveri vengono denudati e lavati prima di essere avvolti nel lenzuolo e seppelliti. Anche Tamarod ammonisce tuttavia i militari che l’uso eccessivo della forza non è accettabile e teme una rinascita della polizia segreta tanto
temuta ai tempi di Mubarak «Moriremo uno a uno ma non ci muoveremo di qui» mi ha detto ieri sera una ragazza, laureata in inglese all’Università al Azhar, che ascoltava un comizio nell’accampamento dei sostenitori di Morsi nel quartiere Nahda. «Sono i militari che hanno rovesciato con il loro golpe il cammino della democrazia, che era cominciato con la l vittoria dei Fratelli musulmani alle elezioni. E gli europei plaudono alle elezioni solo quando sono d’accordo con il risultato».
In una cerimonia trasmessa alla tv al Sissi ha confermato la roadmap del governo per arrivare a nuove elezioni entro sei mesi. Ma il mondo si preoccupa e Catherine Ashton, capo della diplomazia dell’Unione europea, è arrivata al Cairo ieri sera per incontrare il presidente egiziano Mansour.


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