Iraq, strage di sciiti nel giorno della festa

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Undici, forse dodici autobomba esplose nei caffè, nei ristoranti e nei mercati affollati di Bagdad, tra la gente che festeggiava l’Eid Al Fitr, l’importante ricorrenza che segna la fine del Ramadan. Altre scoppiate a Kirkuk, Karbala, Nassiriya. A Tuz Khormato, la cittadina a nord di Bagdad contesa da curdi e governo centrale, un kamikaze si è fatto saltare uccidendo dieci persone. In tutto il Paese, oltre 70 morti e centinaia di feriti, molti tra le forze dell’ordine, quasi tutti sciiti come la maggior parte dei quartieri dove sono avvenuti gli attentati a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro, gestiti in apparenza da una sola regia. Nella capitale, dove la prima esplosione è avvenuta in un parco giochi e ha ucciso due bambini, le vie dello shopping nelle zone di Amil, Abu Dashir, Khazimiyah, Baiyaa, Shaab, Husseiniyah e Dora si sono trasformate in un attimo in zone di guerra: colonne di fumo, sangue, urla, terrore, poi le ambulanze e la polizia, gli elicotteri. Se il mese sacro del Ramadan è spesso scelto dai terroristi per le loro azioni, che sarebbero così «benedette», era da cinque anni che la Eid Al Fitr non vedeva in Iraq tanto orrore.
Non è certo un sorpresa, però. Anche se solo stragi come quelle di ieri rompono l’indifferenza del mondo per l’ex repubblica baathista di Saddam Hussein, a dieci anni dall’intervento americano che lo depose, l’Iraq è ormai sempre più vicino a una nuova guerra confessionale dopo quella terribile del 2006-2007. Per molti anzi vi sarebbe già sprofondato. Basta guardare gli ultimi numeri: 1057 morti nel solo mese di luglio, il più cruento dal 2008 secondo i dati dell’Onu. Durante il Ramadan appena concluso, le vittime sono state 814. E negli ultimi giorni, il 21 luglio ci sono stati 71 morti nell’assalto di un gruppo qaedista a due prigioni per liberare centinaia di detenuti. La settimana dopo, altre autobomba esplose a catena — 11 solo a Bagdad — avevano ucciso oltre 60 persone, 50 delle quali nella capitale.
É dallo scorso aprile che l’Iraq vede un’escalation di sangue e violenza, la cui fine non sembra vicina. Quattro mesi fa, le elezioni locali avevano registrato un calo di popolarità del governo guidato dal premier sciita Nouri Al Maliki. Manifestazioni della minoranza sunnita erano state disperse dalle forze di sicurezza a Hawija con 240 morti. Da allora quasi ogni giorno ci sono stati scontri, attentati, attacchi. Ad alimentare nuovamente l’odio tra le due fedi dell’Islam, concordano analisti e politici, è stato in gran parte il conflitto siriano. La rivolta sunnita contro Bashar Assad ha ridato forza ai compagni di fede iracheni, al potere con Saddam ma ora in secondo piano. I gruppi estremisti, compresi quelli vicini a Al Qaeda, negli ultimi mesi hanno ritrovato vigore.
Ma anche tra la gente «normale» la rabbia contro il governo di Al Maliki continua a crescere. Nonostante il petrolio e il miglioramento generale dell’economia, il livello di vita resta spesso misero, i servizi basilari come acqua e energia sono carenti, non c’è sicurezza, mentre la corruzione e l’apatia dei politici sono noti a tutti. Dalle elezioni legislative del 2010 poche leggi sono state varate, quasi nessuna applicata, mentre il Paese è sempre più diviso tra sciiti e sunniti, con i curdi, ricchi di petrolio nel Nord, a fare da «terza forza». Tutti in attesa delle elezioni politiche di primavera, che Al Maliki vorrebbe forse rimandare, mentre riemergono ipotesi di una divisione del Paese e la violenza non si ferma.
Cecilia Zecchinelli


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  Foto: Stampalibera.com

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