Blitz americano in Somalia Attaccato il capo dei terroristi
WASHINGTON — Somalia, 3 e 4 ottobre 1993. I ranger Usa perdevano 18 uomini e due elicotteri nella famosa battaglia di Mogadiscio raccontata nel film «Black Hawk Down». Vent’anni dopo i commandos sono tornati a colpire di nuovo in Somalia e in Libia, due episodi della guerra segreta al terrorismo. Nel mirino esponenti vicini ad Al Qaeda.
Il primo episodio ha avuto come teatro la cittadina di Baraawe, nel Sud della Somalia. Un commando di Navy Seals arrivato dal mare ha attaccato la residenza di un alto dirigente degli Shebab, fazione che si ispira al qaedismo e sospettata di aver organizzato la strage al centro commerciale di Nairobi. I militari hanno ingaggiato un duro combattimento con gli estremisti facendo intervenire anche elicotteri d’assalto. Quindi si sono ritirati a causa della forte resistenza incontrata.
Molte le versioni sull’esito. Inizialmente, fonti citate dal New York Times hanno affermato che il bersaglio era stato catturato. Poi cambiavano scenario: forse è stato ucciso ma non erano in grado di confermarlo. Infine, arrivava l’agenzia Associated Press : «Non hanno trovato un terrorista collegato al massacro di Nairobi». Un’indicazione delle serie difficoltà incontrate durante l’operazione. Del resto gli stessi Shebab, che nella mattinata di sabato avevano per primi rivelato l’episodio — accusando però inglesi e turchi —, sostenevano di aver ucciso un ufficiale che guidava i commandos.
Sempre il New York Times ha precisato che blitz come quello di Baraawe sono sferrati solo per neutralizzare figure eversive di «alto valore». E questo ha fatto ipotizzare che il target fosse Mukthar Abu Zubery, alias Godane, l’attuale leader degli Shebab. O comunque un esponente collegato al massacro di Nairobi. Funzionari statunitensi hanno sottolineato che c’era un chiaro rapporto con l’attentato avvenuto in Kenya pochi giorni fa. Già quattro anni fa, Baraawe era stata teatro di un’incursione di forze Usa che avevano ucciso Saleh Nabhan, operativo qaedista coinvolto in un doppio attentato dell’estate 1998. E informazioni trapelate da Nairobi hanno indicato che tra i criminali che hanno fatto scempio al centro commerciale di Nairobi c’era un mujahed parente di Nabhan.
Il secondo episodio è sempre collegato alle storie di terrore in Africa. Abu Anas Al Libi, per anni stretto collaboratore di Osama, è stato portato via da un team armato in una strada di Tripoli. Tornato dopo un lungo esilio in Iran, viveva indisturbato in Libia nonostante gli americani avessero posto sulla sua testa una taglia di 5 milioni di dollari. Al Libi era accusato di aver partecipato agli attentati del 1998 a Nairobi e Dar Es Salaam. Chi ha catturato l’estremista? Una milizia locale o è stato un colpo di mano delle unità speciali statunitensi? Per la tv Nbc la risposta esatta è la seconda. A prelevarlo sarebbero stati propri gli americani. Negli scorsi mesi, del resto, Washington non aveva nascosto la propria irritazione per la scarsa collaborazione da parte delle autorità libiche. E non solo su Al Libi. Anche uno dei sospettati per l’assalto al consolato di Bengasi (settembre 2012) ha continuato a restare in libertà.
Infine una lunga inchiesta della rivista Mother Jones ha sottolineato come il Pentagono abbia trasformato l’Italia nella principale «base di lancio» per gli interventi in Nord Africa e Medio Oriente. Gli Usa disporrebbero nel nostro Paese di 13 mila soldati sparpagliati in dozzine di installazioni. Notevole anche la spesa per ammodernare alcune basi: 2 miliardi di dollari.
Guido Olimpio
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