Napolitano al Parlamento «Si decida sull’indulto»

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ROMA — Due anni fa, in un convegno organizzato dai radicali nella stessa sala del Senato, parlò di «condizione che ci umilia davanti all’Europa», di «abisso che separa la realtà delle carceri dal dettato costituzionale», di «prepotente urgenza» di un’adeguata riforma. Due mesi fa, a situazione inalterata e se possibile peggiorata, s’è rivolto direttamente al Parlamento nella forma solenne del messaggio presidenziale, per suggerire un provvedimento di amnistia e indulto necessario ad adempiere «l’imperativo morale» di porre fine alla situazione di «degrado civile e sofferenza umana» in cui sono costretti i detenuti, sanzionato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Da allora non è successo nulla e allora Giorgio Napolitano, tornato a palazzo Giustiniani per assistere ai lavori del convegno sulla «clemenza necessaria», lancia quasi una sfida ai deputati e senatori che hanno fatto cadere nel vuoto il suo appello. «Il Parlamento — dice il capo dello Stato — deve avere il senso di responsabilità necessario per dire che vuole fare un provvedimento di indulto per ottemperare alla decisione della corte di Strasburgo, o prendersi la responsabilità di considerarlo non necessario, sapendo che c’è la scadenza del maggio 2014».
La Corte europea ha fissato quella data per introdurre riforme che almeno comincino a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, pena l’esame degli oltre 3.000 ricorsi di altrettanti detenuti che lamentano l’invivibilità delle prigioni italiane; per adesso i verdetti sono sospesi, ma le probabilità che le doglianze vengano accolte, con altrettante condanne (sull’esempio di quella già inflitta) sono altissime.
C’è dunque un ultimatum, dal quale deriva il nuovo monito del presidente della Repubblica: «Il Parlamento è libero di fare le sue scelte — prosegue Napolitano —, il mio messaggio non è un prendere o lasciare, ma un modo di richiamare di questa drammatica questione e su un dovere ineludibile».
Che almeno non prosegua un silenzio paragonabile a un inammissibile disinteresse, insomma; si faccia una scelta chiara. E dal convegno organizzato dalla commissione speciale per i diritti umani del Senato presieduta da Luigi Manconi è arrivata una nuova, nitida fotografia dell’emergenza: 64.000 detenuti, a fronte di 37.000 posti disponibili (la capienza sarebbe di 47.000, ma molti sono inagibili, denuncia la segretaria radicale Rita Bernardini). E il magistrato Vladimiro Zagrebelsky, che in passato è stato giudice dei diritti dell’uomo a Strasburgo, spiega che non c’è altra soluzione che un provvedimento d’urgenza: «L’indulto non è in questo caso un atto di clemenza, bensì un obbligo dettato dall’emergenza». Una liberazione anticipata di una quota della popolazione carceraria «da calcolare in base alle statistiche sulla sua composizione è l’unica misura efficace e immediatamente possibile».
Per le pene accessorie l’indulto non avrebbe senso perché non servirebbe a sfollare le carceri, aggiunge il magistrato, sgombrando così il campo dalle polemiche sull’effetto che il provvedimento avrebbe sulla vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi, che hanno immediatamente bloccato il dibattito all’indomani del messaggio di Napolitano. Qui però non si parla di un caso personale molto noto, bensì delle migliaia di detenuti sconosciuti «che non meritano di vivere in condizioni degradanti».
Rita Bernardini sottolinea che «non si tratterebbe di un atto di clemenza, ma semplicemente di giustizia». Il costituzionalista Pugiotto cita il capo dello Stato per ricordare «l’adempimento di un obbligo costituzionale», recentemente ribadito da una sentenza della Consulta, mentre il presidente del Senato Pietro Grasso punta il dito sulle «leggi carcerogene» che negli ultimi anni hanno contribuito a riempire le prigioni. Annamaria Cancellieri, ministro della Giustizia, ascolta e tira le fila: il governo ha pronto un piano di riforme, annuncia, ma un indulto di tre anni che libererebbe circa 20.000 detenuti, «riporterebbe il sistema in condizioni di efficienza tali da consentire nel migliore dei modi il decollo del nuovo modello di esecuzione della pena che proponiamo». Una scelta di esclusiva competenza del Parlamento; «il ministro della Giustizia può solo auspicarla».
Giovanni Bianconi


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