Letta-Renzi, vertice blindato sul contratto

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ROMA — Oggi Enrico Letta vedrà Matteo Renzi. Forse. Perché oggi il sindaco di Firenze dovrebbe essere nella Capitale. Forse perché della seconda cosa non c’è certezza. Palazzo Chigi non conferma, ma non smentisce: «L’incontro sarà oggi o domani», si limitano a dire nello staff del premier, facendo capire che la prima ipotesi è più solida, ma anche che non dipende da loro.
Nello staff di Renzi invece dicono il contrario e aumentano l’incertezza: il segretario del Pd non vedrà oggi il presidente del Consiglio, non andrà a Palazzo Chigi. Un po’ di sana e fisiologica disinformazione? Copertura di ultimi spazi d’incertezza sul protocollo e sulla proiezione esterna del faccia a faccia?
È più probabile che sia questa seconda ipotesi. Letta ieri è rimasto tutto il giorno chiuso a Palazzo Chigi, ha dovuto risolvere la questione degli stipendi degli insegnanti, con un vertice mattutino insieme ai ministri dell’Economia e dell’Istruzione; seguire l’emendamento alla disciplina fiscale della casa; con Franceschini e Alfano ha avuto contatti operativi legati alla stesura del contratto di coalizione, o come preferiscono chiamarlo nel governo, di Impegno 2014.
Il fatto che non ci sia certezza nemmeno dell’agenda, o che almeno vengano sostenute ipotesi diverse persino sulla date di un incontro di lavoro, la dice lunga sul grado di tatticismo che la vicenda ricopre. «Per venerdì in ogni caso sarà stata completata la prima fase degli incontri — sottolineano nello staff del premier — quindi prima di venerdì sera Letta avrà certamente visto sia Mauro per i Popolari, Alfano per il Nuovo centrodestra e Renzi per il Pd».
Ma oltre ai problemi di metodo e di date sembrano affiorino anche problemi di merito e coperture. La parte più corposa del documento che Enrico Letta sta scrivendo, nel quale dovrà inserire i contributi di tutti i partiti che sostengono l’esecutivo, sarà dedicata alle politiche economiche e sociali. Il tema del lavoro sarà in cima alla lista e il Job Act che Renzi si appresta a presentare dovrebbe di diritto diventare una delle gambe del documento.
Sin qui nulla di speciale, se non fosse che fra Palazzo Chigi e gli stessi renziani sta emergendo una consapevolezza: molte delle cose previste fra le proposte sul lavoro di marca democratica sono difficili da attuare, ma soprattutto difficili da coprire. In sintesi: costano troppo. E anche nel merito sembra che il documento del Pd sia ancora molto «aperto»: nello staff di Renzi diffondono queste lamentele, «per ogni punto bisogna discutere con 50 persone diverse, dentro il partito».
Insomma Letta attende Renzi per discutere di tutto ma anche per vedere almeno una bozza del Job Act, che dovrebbe essere presentato ufficialmente il 16 gennaio, nel corso della segreteria del Pd. I numerosi incontri del premier con il ministro del Lavoro Giovannini, in questi giorni, confermano che alla fine il contratto di coalizione ospiterà un mix di proposte democratiche, governative e di altri partiti della maggioranza.
Sul pasticcio degli stipendi degli insegnanti, «una storia un po’ all’italiana, un garbuglio di equivoci normativi», secondo Letta, ricavano nel governo una consapevolezza che ormai si trasferisce di premier in premier: in molti casi la macchina dei ministeri italiani non è controllata dal ministro di turno, «è talmente farraginosa che sfugge al controllo», dicono a Palazzo Chigi, assolvendo Saccomanni. Saccomanni ma non il suo ministero: «Non di rado — dicono nello staff del presidente del Consiglio — arrivano da quel ministero bozze e documenti che dobbiamo controllare più volte, semplicemente perché contengono degli errori». Anche così, talvolta, si spiegano i pasticci.
Marco Galluzzo


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