Attacchi al Quirinale e al premier Un caso le parole del pm Di Matteo

Attacchi al Quirinale e al premier Un caso le parole del pm Di Matteo

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ROMA — Palermo, via D’Amelio, 19 luglio. È il giorno del ventiduesimo anniversario della morte di Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Ma è anche il giorno dopo la sentenza di appello del processo Ruby, che assolve Silvio Berlusconi sia dall’accusa di concussione che da quella di prostituzione minorile.
Per questo, le parole del pm anti-mafia Antonino Di Matteo, dal palco delle celebrazioni, diventano in pochi minuti pietre incandescenti. Di Matteo, l’uomo minacciato di morte da Totò Riina, va all’attacco. Non solo dell’ex Cavaliere, ma anche del capo dello Stato e del presidente del Consiglio. Su Berlusconi l’affondo parte, cronologicamente, da lontano: «In una sentenza della Corte di Cassazione — dice il magistrato — è accertato che un partito politico, divenuto forza di governo nel ‘94, ha annoverato tra i suoi ideatori e fondatori un soggetto da molto tempo colluso con gli esponenti di vertice di Cosa nostra e che da molti anni fungeva da intermediario consapevole dei loro rapporti con l’imprenditore milanese che di quel partito divenne esponente apicale». Il riferimento, ovvio, è alla nascita di Forza Italia e al ruolo di Marcello Dell’Utri. Di Matteo insiste: «Oggi questo esponente politico (Berlusconi, ndr ), dopo essere stato definitivamente condannato per altri gravi reati, discute con il presidente del Consiglio in carica di riformare la legge elettorale e la Costituzione alla quale Paolo Borsellino aveva giurato quella fedeltà che ha osservato fino all’ultimo respiro». E, proprio nel nome dell’amico e collega di Giovanni Falcone, «è necessario non perdere la capacità di indignarsi e trovare la forza di reagire. Dobbiamo evitare che anche da morto Borsellino subisca l’onta di vedere calpestato il suo sogno di giustizia».
Ma anche sul presidente della Repubblica Di Matteo usa parole forti: «Non si può assistere in silenzio — dice — al tentativo di trasformare il pm in un burocrate sottoposto alla volontà del proprio capo, di quei dirigenti sempre più spesso nominati da un Csm che rischia di essere schiacciato e condizionato dalle pretese correntizie e da indicazioni sempre più stringenti del suo Presidente». Che, per la nostra Costituzione, è appunto il Capo dello Stato, cioè Giorgio Napolitano.
Due commenti che, in breve tempo, «coprono» l’altra polemica di giornata, la contestazione alla presidente della commissione antimafia Rosy Bindi. Che, appena arriva a via D’Amelio, trova i rappresentanti delle Agende Rosse che si girano di spalle, alzando le loro agendine in aria, mentre un grillino le «rinfaccia» gli accordi con Berlusconi. Dopo Di Matteo, però, passa tutto in secondo piano. Nel centrodestra in molti si scagliano contro il pm del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Non solo i «berlusconiani», ma anche chi, come gli alfaniani, si era distaccato dall’ex Cavaliere. Secondo Fabrizio Cicchitto, Ncd, «Di Matteo è un mediocre imitatore di Ingroia: non essendo capace di far le indagini la butta in politica nel modo più volgare. È inquietante che un tipo del genere abbia per le mani indagini delicatissime e ovviamente uno dei suoi scopi è quello di andare addosso al Presidente della Repubblica. Questo dà l’indice del livello di faziosità che caratterizza qualche esponente della magistratura italiana».
Luca D’Alessandro, Forza Italia, aggiunge: «A Palermo un pm, salendo su un palco, ha dato l’esempio della parte peggiore della magistratura, che approfitta di ogni occasione per svolgere un ruolo politico». Stefania Prestigiacomo ( Fi): «Di chi parla Di Matteo? E a chi parla? Possibile che in un comizio egli alluda a nomi che sono evidentemente chiarissimi nella sua mente (e nella mente di chi sa di essere citato)? ». Ma critiche arrivano anche da Scelta Civica: «Il dottor Di Matteo — dice Andrea Mazziotti, capogruppo alla Camera — farebbe bene a seguire l’esempio di Borsellino che ha sempre indagato seriamente e in silenzio».
Ernesto Menicucci



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