Stipendi, manovra meno forte ora i conti non tornano aumenti massimi di 75 euro

Stipendi, manovra meno forte ora i conti non tornano aumenti massimi di 75 euro

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ROMA . Possibile che gli stipendi medi quest’anno salgano di 175 euro al mese? Secondo il governo sì. E lo dimostra la tabella twittata dal premier Renzi, lo scorso 20 gennaio. Neoassunti o contratti esistenti, non fa differenza. Nel 2015, tutti più ricchi (almeno quelli nella fascia dei 24 mila euro lordi annui, single e senza figli). I conti però non tornano. L’aumento non andrà sopra i 75 euro, nel confronto con il 2013 (come fa il governo). Appena 24 euro rispetto al 2014. Come mai?
Repubblica ha chiesto di rifare i calcoli alla Uil Servizio politiche territoriali. E le differenze con la tabella messa online sono evidenti. Secondo Renzi, le buste paga dei due esempi (reddito da 24 mila euro e da 15 mila, declinati per neoassunto e contratto in vigore) lievitano. Il motivo è da ricollegarsi — così si intende dalla grafica — agli sgravi sul lavoro concessi dal governo, in grado di ridurre il cuneo fiscale (la differenza tra costo lordo del lavoro e netto in busta paga), del 64% e del 18% nell’esempio dei 24 mila euro. Incidendo di più come è ovvio su chi viene assunto quest’anno (zero Irap e contributi), molto meno sugli altri (solo zero Irap). Il messaggio però è fuorviante. Gli sconti impattano senz’altro sulla scelta di assumere, perché riducono il costo del lavoro per l’impresa del 25%. Purtroppo però non gonfiano le tasche dei lavoratori — è risaputo — perché sono a monte. Allora come fanno gli stipendi ad alzarsi? Grazie a due bonus. Quello Renzi da 80 euro mensili (che diventano 74, perché nell’esempio il governo ipotizza 13 mensilità), sebbene attenuato dall’aumento di addizionali comunali e regionali. E quello Letta (innalzamento delle detrazioni per i dipendenti). Fatti e rifatti i calcoli, lo stipendio cresce di 75 e non 175 euro, come indica il governo.
Interpellato per una spiegazione, Palazzo Chigi rimanda al dipartimento Finanze del ministero dell’Economia, il reale estensore della tabella. Il Mef ammette sì di aver fatto i calcoli secondo i desiderata del governo, ma non di averli sintetizzati nella slide, poi confezionata dagli uomini di Renzi. Si scopre così che il governo ha chiesto al dicastero di Padoan di conteggiare anche l’opzione Tfr, la possibilità cioè per i lavoratori (ma non gli statali) di richiedere, a partire da marzo, un anticipo della liquidazione in busta paga. L’inclusione di questo elemento nel calcolo fa certo tornare i conti. Ma è bizzarra. Primo, perché l’anticipo del Tfr è una facoltà, vedremo quanto popolare. Secondo, perché chi opterà ci pagherà più tasse (secondo gli scaglioni Irpef).
Una furbata, questa del Tfr? Una soluzione singolare e neppure segnalata nella tabella quale ipotesi di calcolo. Come pure sembra generoso il confronto tra 2015 e 2013, saltando il 2014. Anno in cui il bonus Renzi da 80 euro c’era già (per 8 mesi su 12). E rispetto al quale l’aumento di stipendio è una pizza con birra.


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