Il Pil rallenta, l’America si scopre meno ottimista

Il Pil rallenta, l’America si scopre meno ottimista

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NEW YORK Pil americano sottozero nel primo trimestre 2015. La stima di un magro +0,2 per cento fatta un mese fa è stata adesso rivista al ribasso dagli uffici statistici del governo Usa: l’inverno molto rigido con una serie di bufere di neve che hanno spazzato il Paese a febbraio e altri fattori che hanno ostacolato la produzione come l’impennata del valore del dollaro, hanno fatto scivolare il reddito nazionale a un preoccupante meno 0,7%. Un mese fa, davanti alle prime stime negative, molti economisti si erano detti convinti che il 2015 avrebbe ricalcato il copione dell’anno scorso: forte calo del Pil nel primo trimestre (negli Usa l’inverno 2014 fu ancora più duro di quello appena finito) seguito da un rimbalzo dell’economia cresciuta al ritmo del 5 per cento nel secondo e terzo trimestre, per poi assestarsi su un 2,2 per cento nell’ultimo scorcio dell’anno. Ora, dopo i nuovi dati, il drappello degli ottimisti si è molto ridotto. Nessuno crede che l’economia americana stia andando di nuovo verso una recessione: il rimbalzo ci sarà anche quest’anno, ma di misura molto inferiore. Sarà già molto se nel 2015 l’America riuscirà a crescere del 2 per cento. E questo non solo perché l’anno scorso il blocco invernale delle attività produttive fu molto più pronunciato, ma soprattutto perché oggi sull’economia operano due freni che non c’erano un anno fa: quello appena accennato dell’eccesiva forza del dollaro che penalizza le produzioni americane e il blocco degli investimenti petroliferi dopo il crollo dei prezzi del greggio. Lo sfruttamento dello «shale» gas e del petrolio estratto con la tecnica del «fracking» è stato negli ultimi tre anni un potente volano per gli Stati Uniti, divenuti assai prima del previsto il primo produttore mondiale di energia da idrocarburi. Ma il conseguente crollo dei prezzi ha spinto molti produttori a bloccare l’attività dei pozzi con alti costi di estrazione e a sospendere gli investimenti nei nuovi giacimenti. Si tratta di oltre cento miliardi di dollari di investimenti rinviati o cancellati. Sull’altro piatto della bilancia ci dovrebbe essere l’effetto benefico del calo del prezzo della benzina alla pompa che fa risparmiare centinaia di miliardi di dollari agli automobilisti, lasciando così molti soldi da spendere nelle tasche delle famiglie. Ma in una situazione economica percepita ancora come molto incerta, gli americani, un tempo spendaccioni, si sono messi anche loro a risparmiare quasi tutto il loro reddito aggiuntivo: i risparmi del trimestre hanno raggiunto i 726 miliardi. Insomma, i fattori allarmanti non mancano, ma è meglio aspettare nuovi dati prima di trarre conclusioni perché ci sono anche altri elementi da valutare: ad esempio l’impatto avuto dagli scioperi nei porti della West Coast americana che hanno rallentato a lungo i traffici con l’Asia (emergenza ora superata) e il sospetto che le statistiche governative di inizio anno siano viziate da un modo discutibile di applicare le tecniche di destagionalizzazione dei dati. Un dubbio espresso anche da alcuni economisti della Fed. Comunque è chiaro che la Banca Centrale si prenderà ancora del tempo, fino a dopo l’estate, prima di aumentare il costo del denaro.
Massimo Gaggi

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