Acqua sì, nucleare no in piazza i referendari “Il quorum è possibile”

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ROMA – Davanti una ragazza che avanza con il cartello «Chi vuole privatizzare l’acqua deve dimostrare di essere il padrone delle nuvole». In fondo lo striscione di Greenpeace «il nucleare è una pericolosa perdita di tempo». In mezzo il popolo dell’acqua e dell’energia pulita, con l’istituzionalità  degli stendardi dei Comuni e delle Regioni e con la fantasia dei gruppi di base: gli attivisti del Wwf sui pattini, le band con le trombe e i tamburi, una coda del Carnevale di Viareggio, tanti cappelli a forma di rubinetto, gocce blu dipinte sui visi. Ieri pomeriggio il centro di Roma è stato occupato dal movimento per i due sì nel referendum del 12 e 13 giugno a difesa dell’acqua pubblica e per il sì al quesito contro il piano nucleare del governo. La testa del corteo è arrivata a San Giovanni quando la coda era ancora a Termini. Un fiume di persone (300 mila secondo gli organizzatori) e di sigle che riassumono sei anni di capillare costruzione della rete dei comitati per l’acqua pubblica e un percorso più breve, ma molto intenso, per bloccare la costruzione delle centrali atomiche previste dal piano italiano. In piazza pochi politici (Ermete Realacci, Roberto Della Seta e Fabrizio Vigni per il Pd, Nichi Vendola per la Sel, Leoluca Orlando dell’Idv e il presidente dei Verdi Angelo Bonelli), molti rappresentanti del volontariato (da Emergency a padre Zanotelli), delle associazioni ambientaliste (Legambiente, Wwf, Greenpeace), dei sindacati, di Sos rinnovabili, il movimento dei dipendenti del settore che difende 150 mila posti di lavoro. E una rappresentazione geografica completa dei problemi creati dalla rinuncia alla gestione pubblica dell’acqua e dal fantasma di una ripresa nucleare: nei cordoni del corteo si sono trovati fianco a fianco sindaci di centrodestra e centrosinistra a scambiarsi informazioni sui disastri prodotti dalla privatizzazione forzata. Il guinness della cattiva amministrazione idrica è stato rivendicato dalla delegazione di Enna: con il passaggio ai privati le tariffe sono arrivate fino a 2 euro e mezzo a metro cubo e il servizio è peggiorato. Le 70 associazioni del comitato “Vota sì per fermare il nucleare” hanno invece sfilato dietro lo striscione «Fukushima, Chernobyl, Three Mile Island: il nucleare sicuro è una bugia». A tenere banco è stata la protesta contro la moratoria decisa dopo l’incidente in Giappone. «Subito dopo Fukushima c’è stata la passerella dei ministri che invitavano ad andare avanti come se nulla fosse», ricordano Della Seta e Vigni. «Solo quando l’Europa ha deciso di frenare sul nucleare è arrivata la correzione di rotta. Ed è arrivata in maniera truffaldina, con un rinvio di un anno nella speranza che la memoria degli italiani sia molto corta». Se il corteo ha dimostrato che dietro gli oltre 2 milioni di firme raccolte c’è un movimento vivace, restano aperti due problemi. Il primo è la sfida del quorum da raggiungere a giugno («Un’impresa non impossibile, ma molto difficile», ha detto ieri Realacci). Il secondo è la definizione di un progetto in positivo. Negli anni Ottanta l’Italia ha già  sprecato, per mancanza di progettazione e di affidabilità  del sistema pubblico, una posizione di leadership nelle fonti energetiche pulite. Ora, proprio mentre la via del nucleare si fa sempre più ardua e petrolio e gas sempre più incerti, il governo ha smantellato le politiche di sostegno alle rinnovabili: senza un rapido cambio di rotta che ci spinga in direzione dell’Europa rischiamo le sanzioni di Bruxelles (mancato raggiungimento della quota di rinnovabili) e un deficit energetico.


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