Il nemico francese

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Ma il finale è aperto. In Parlamento e fuori il ministro Frattini è stato molto poco diplomatico, la grana sulla Nato e sul comando delle operazioni militari era quasi dovuta, però è arrivata tardi e sapeva di ripicca. La contemporanea guerra commerciale sulla Parmalat rinfocola, a colpi di decreti legge, l’avversione antifrancese. L’autocompatimento si estende ai tanti, ai troppi posti che Parigi occupa nelle istituzioni finanziarie, Fondo Monetario, Bce. È la variante tecnocratica di un’antica antipatia che i governanti italiani, specie quando si trovano nelle peste per faccende di scontento sociale o di cialtronate che di colpo si rivelano tali, riattizzano con la malcelata speranza di spostare l’attenzione su qualcosa che c’è, che va e viene, un complicato sentimento di amore e odio che scorre nella storia e fermenta nell’immaginario, da Giulio Cesare in giù, da Asterix in su. Anche le reazioni delle batterie mediatiche berlusconiane sull’impiccio libico appaiono, più che eccessive, un po’ sopra le righe della legittima animosità . All’estero deve sembrare al tempo stesso scontata e ridicola questa improvvisa offensiva italiana contro l’Eliseo. La politica internazionale è un campo che rifugge artifici, semplicismo e improvvisazioni. Un conto è attaccare Bocchino, Santoro o la casa di Montecarlo; altro conto è misurare la propria fantasia polemica – e ancora di più le proprie forze – con una nazione come la Francia. Tra Libero, il Giornale e Panorama si oscilla tra colpi bassi a base di rivelazioni da servizi segreti sulla Francia che ha armato i ribelli oppure ha venduto a Gheddafi le armi con cui questi li massacra ed effettacci tipo quello con cui si conclude l’editoriale del settimanale di Segrate: «Al di là  delle Alpi devono ogni tanto ricordare che nella loro storia non c’è solo il generale Napoleone. C’è anche il generale Cambronne». Figurarsi che peso avranno dato, in quel luogo di assoluta umiltà  che è Parigi, all’ammiccante invito di Giorgio Mulè. Sulla copertina, sotto l’immagine del presidente francese ritratto con la più celebre delle feluche campeggia uno strillo che vorrebbe tanto essere brillante: «Sarkofago», accipicchia. A sinistra si chiarisce il contesto: quel signore lì «voleva trascinarci in un duello mortale. Ecco come l’Italia ha ridimensionato la sua smania di protagonismo». Nella distanza tra l’immagine focosa del «duello mortale» e il mesto participio «ridimensionato» si misurano ragionevoli dubbi e inconfessabili frustrazioni. Quanto alla «smania di protagonismo», beh, qui da noi negli ultimi tempi un certo protagonismo il potere se l’è pure conquistato sui media, a livello planetario, ma per un altro genere di smanie. Che faranno senz’altro meno male delle bombe e dei missili, francesi o italiani o soprattutto gheddafiani che siano, però insomma, forse è meglio lasciar perdere. O forse no. Perché in tutto questo c’entrano i peggiori appetiti, c’entra il petrolio, c’entra la geopolitica, l’Africa, il Mediterraneo, i commerci, il prestigio, c’entra tutto quello che rende a volte gli interessi di due nazioni incompatibili. Ma nessuno, in un tempo nel quale la personalizzazione del potere è scappata di mano, riuscirà  mai a escludere che il nemico francese è anche un fatto privato: è più di Berlusconi, se proprio bisogna dire, che di Sarkozy. Troppo simili per non detestarsi. Simili, però diversi quel tanto che basta a concludere, con abbondanti evidenze documentarie e anche visive (una clip in cui il presidente italiano fa il segno al suo collega rumeno che il francese è matto), che il Cavaliere soffre Sarkozy. Dopotutto Chirac – con cui pure le cose andavano sempre abbastanza male – era un vecchio signore. Una volta, nel pieno del primo ciclo di scandali, raccontò che il Cavaliere gli aveva indicato il bidet di camera sua dicendo: «Ah, se queste maioliche potessero parlare!». Non fu simpatico, ma Chirac ormai se n’è andato; ed è arrivato quell’altro. Meno ricco di Berlusconi, d’accordo. Con meno esperienza internazionale, e vabbè. Ma più giovane, più bello, più fico e anche più potente perché lì monsieur le president mica deve penare per avere una firma del Quirinale sul Milleproroghe bis o perdere il sonno per la pronuncia della Consulta. Per non dire – colpo di grazia – del fatto che Sarkò ha come «fidanzatina» una delle donne più belle del mondo. Si deve a Berlusconi di aver introdotto la categoria dell’invidia nel discorso pubblico; e sempre lui ha introdotto la diplomazia del contatto personale. Quanto basta per chiedersi se l’una e l’altra non gli si stiano ritorcendogli contro.


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