Assedio di Misurata, colpito l’ospedale

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BENGASI— Quando il grande traghetto «Ankara» approda alle banchine la folla assiepata nel porto getta mazzi di fiori in mare. «Daremo il sangue e il cuore per i fratelli di Misurata» , inneggiano in coro. «Daremo il sangue e il cuore per i fratelli di Bengasi» , rispondono gli altri dai ponti della nave. È l’emozione che prende il sopravvento. La fratellanza che nasce dalla lotta per un obiettivo comune. Saluti, brevi scambi di informazioni su parenti e amici. Chi è ferito? E i morti? La nave offerta dal governo turco è stata attrezzata con un ospedale d’emergenza e per qualche giorno ha stazionato al largo della città  assediata di Misurata. Quando possibile, evitando i colpi sparati dalle artiglierie di Gheddafi, i battelli dei pescatori hanno fatto la spola per portare a bordo i feriti ricoverati in cliniche di fortuna. Infine, ieri pomeriggio, la «Ankara» è arrivata a Bengasi con a bordo circa 250 feriti, altri 100 dovrebbero salire in queste ore dagli ospedali locali: salperanno entro oggi alla volta della Turchia per essere curati. «Un aiuto fondamentale. Misurata ha ormai bisogno di tutto. Nella maggioranza dei quartieri mancano luce ed elettricità . Scarseggia il cibo. I tank e i cannoni delle milizie fedeli al Colonnello sono attestati a meno di 15 chilometri dal centro e sparano indiscriminatamente per terrorizzare la popolazione. Anche il porto è sotto tiro da quando si sono accorti che cercavamo di utilizzare i pescherecci per inviare rinforzi» , ci spiega Mohammad al Muthasser, rappresentante dei circa 400.000 abitanti di Misurata tra i 31 membri del Consiglio Nazionale, il governo provvisorio istituito dal 26 febbraio. I medici ancora in città  segnalano un migliaio di morti in quasi un mese e mezzo di violenze. «I decessi sono almeno 160 negli ultimi 7 giorni» , ha denunciato uno di loro raggiunto faticosamente per telefono satellitare. Notizie che confermano gli andamenti bellici degli ultimi giorni. Sul fronte orientale sembra prevalere un fragile stallo. La Nato ha chiesto agli Stati Uniti di posticipare la sospensione dei raid aerei e il Pentagono ha accettato: almeno fino a oggi (lunedì, ndr) saranno in azione le «cannoniere volanti» Usa, indispensabili per colpire le forze corazzate governative. Anche tenendo conto che sul fronte occidentale i gheddafiani continuano a guadagnare terreno. A Misurata gli insorti stanno perdendo i quartieri del porto e sono sempre più costretti a cercare rifugio tra le viuzze del centro. Da Tripoli non giungono più informazioni relative ad alcuna forma di resistenza organizzata contro la repressione imposta dalle truppe del regime. E sembra che nelle ultime 48 ore i soldati di Gheddafi abbiano operato anche nelle regioni a sud ovest della capitale. A Yafran segnalati due morti. A Zintan ieri mattina avrebbero fatto irruzione le colonne dei massicci tank T72 di fabbricazione sovietica, spauracchio dei combattenti della rivoluzione dotati di armi leggere. A est i combattimenti da circa una settimana sono ingolfati per il controllo della cittadina di Brega, circa 240 chilometri a ovest di Bengasi e quasi 1.000 da Tripoli. La zona della raffineria e il centro abitato sono diventati terra di nessuno, pattugliata dall’aria dai jet della Nato, che però trovano sempre più difficile aiutare le forze dei ribelli da quando i comandi di Gheddafi hanno deciso di rinunciare ai tank e blindati pesanti per viaggiare sugli stessi tipi di veicolo leggeri usati dai nemici. La buona notizia per le milizie della rivoluzione è comunque il fatto che i comandi di Bengasi stanno faticosamente cercando di organizzare le loro forze. «Non ci servono i ragazzini volontari. Creano solo confusione. Più stanno distanti dalla zona dei combattimenti meglio è» , sostengono da tempo i pochi soldati di professione che si incontrano sul campo. Su di loro punta ora Abdulfatah Younis, l’ex ministro degli Interni e generale di Gheddafi, passato ai ranghi della rivoluzione dal 21 febbraio e ora capo di stato maggiore degli insorti. Sul fronte diplomatico continuano a giungere segnali di contatti per cercare una soluzione negoziata. Il primo ministro di Tripoli, Al Baghdadi Alì al Mahmoudi si è intrattenuto al telefono con quello greco, George Papandreu, prima di mandare ad Atene il suo vice ministro degli Esteri, Abdelati Obeidi. I libici, secondo fonti greche, chiedono la fine dei combattimenti. «Sembra che le autorità  libiche cerchino una soluzione» , ha detto il ministro degli Esteri greco Dimitris Droutsas. Coinvolti nei colloqui sono anche i dirigenti del Qatar e il premer turco Erdogan, oltre al britannico Cameron. Londra ha invece inviato a Bengasi l’ambasciatore britannico a Roma, Christopher Prentice, per incontrare i capi ribelli, mentre un loro inviato sarà  oggi a Roma.


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