Auto organizzazione contro la precarietà 

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I lavoratori della conoscenza e i loro futuro» (Feltrinelli) – È forse il segno che le sue correnti più dinamiche iniziano amettere al centro la tutela delle figure lavorative più deboli e isolate. Ma questo impegno dovrà  tradursi anche in scelte di fondo su fisco, previdenza, disoccupazione, formazione, maternità , divieto del lavoro gratuito. Quando si tornerà  a discutere di leggi sul lavoro voglio sperare che la Cgil e con essa gli altri sindacati si rendano finalmente conto che in questo paese esiste un doppio mercato del lavoro. Da un lato abbiamo le posizioni bene omale tutelate e dall’altro lato lamaggioranza dei nuovi posti di lavoro senza alcuna tutela. Se il sindacato fa questo salto è un fatto storico. Se non lo fa sarà  il primo a pagarne le conseguenze». Quali sono le questioni più importanti su cui misurare il cambiamento? Bisogna individuare forme di contrattazione assistita a livello aziendale. Una persona con un contratto di lavoro a tempo determinato avrà  la possibilità  di negoziare un miglioramento della sua posizione in azienda? Secondo: non credo che la stabilizzazione sia una prospettiva praticabile per la maggioranza dei nuovi lavori. Certo si potrebbero adottare delle norme sulla pubblica amministrazione, ma questa prospettiva non sfiora minimamente il settore privato. In molti casi la stabilizzazione non è nemmeno una prospettiva auspicabile. Nella situazione di assoluto degrado in cui si trovano le condizioni di lavoro, in particolare quello giovanile, a volte passare da un posto di lavoro all’altro è l’unico modo per migliorare il salario e la propria condizione. Perché considerare la precarietà  l’unico aspetto critico, quando lavori qualificati e impegnativi di giovani laureati, anche anni dopo la laurea, vengono pagati 4 euro all’ora? Il cosiddetto lavoro di conoscenza, ad alto contenuto professionale, ma anche quello di tipo artistico-creativo, è oggi uno dei più bistrattati. Perché i giovani dovrebbero continuare a spendere anni di vita e soldi in formazione? Perché i figli degli operai dovrebbero studiare, per stare peggio dei loro padri? Oppure: perché dobbiamo tollerare che il lavoro gratuito si allarghi sempre più? Chi sarà  in piazza oggi denuncia lo scandalo della gestione separata dell’Inps. Pur versando i contributi avranno una pensione da fame. Come si ricostruisce una civiltà  del lavoro? Nell’unico modo possibile, l’auto-organizzazione dei lavoratori. Lo sosteniamo da tempo anche noi di Acta (Associazione dei consulenti del terziario avanzato, ndr) che presenteremo il nostro manifesto al Macro di Roma il prossimo 11 maggio.Nella storia ci sono state le rivoluzioni dall’alto, quando gli Stati autoritari hanno concesso le tutele ai lavoratori, ma in generale i diritti sociali sono stati creati dalla pressione fortissima dei movimenti popolari o sindacali come negli Stati Uniti con ilNew Deal. Così sono nati anche i sindacati. E così sarà  sempre. Comunque ciò che i lavoratori autonomi chiedono all’Inps non è lo stesso che possono chiedere altre figure contrattuali. Pensi che sia davvero possibile questo scatto in avanti nell’auto-organizzazione? Negli ultimi anni sta crescendo un movimento di associazione tra singoli gruppi professionali sempre più vivace. Le manifestazioni di oggi sono il prodotto di questo movimento spontaneo. È una spinta della società  civile che si manifesta continuamente nelle azioni dei gruppi, nei documenti degli studenti o dei ricercatori universitari, in quelli dei gruppi professionali. Lo abbiamo detto fino alla nausea, il lavoro non esiste più, esistono i lavori. E oggi i lavori, le professioni, le forme contrattuali si organizzano pian piano grazie all’impegno di alcune persone. Queste esperienze cresceranno ancora, la sinistra e i sindacati evitino dimetterci su il cappello, se vogliono dare una mano bene, se non lo vogliono, peggio per loro, questi gruppi continueranno ad esistere lo stesso. Ridurre la loro varietà , che riflette la molteplicità  delle condizioni lavorative, ad un unico comune denominatore è ilmodomigliore per fare fallire questo movimento. Che rapporto vedi tra la «sinistra», o quello che ne resta, e questa spinta all’associazione? Di fronte a questa crescita di iniziative le risposte sono due: o la si ignora o la si cavalca. Fino ad oggi è stata ignorata, sempre più si tende a cavalcarla. Amio avviso questo movimento ha la forza di infischiarsene se viene ignorato o se viene cavalcato. Ormai la solitudine del mondo del lavoro è così dura che la sopportazione è giunta a un limite. Mi sembra altrettanto stupido temere strumentalizzazioni da parte della sinistra, c’è gente che solo a sentir parlare di sindacato e di sinistra si mette in allarme, si sente fagocitata. Ora è vero che la sinistra, la sua simbologia, per una parte del mondo del lavoro non vuole dire più niente e per una parte viene addirittura considerata un ostacolo. Ma qui si tratta di rompere una gabbia, uno schema sul quale si è costruito il sistema postfordista degli ultimi 30 anni. Più forze ci stanno, meglio è. L’unica cosa da fare è andare avanti così, cioè creando dei punti di riferimento per ognuna delle tantissime diverse realtà  lavorative, lasciar sbocciare mille fiori, come dicevasi un tempo. E finalmente la frammentazione del mondo del lavoro di oggi verrà  alla luce in maniera giusta, e coloro che ancora pretendono di trovare parole unificanti e organizzazioni egemoni andranno finalmente a quel paese. Hai partecipato al convegno alla Camera del lavoro di Milano tra la Libreria delle Donne e alcuni dirigenti Cgil, come Landini. Che puoi dirci? Che l’azione della Libreria delle Donne, con il documento sul lavoro, ha fatto un salto di qualità , mettendo in discussione anche la propria storia e quindi ha costretto molte altre forze intellettuali a fare altrettanto. Il sindacato ha anche un grande peso culturale, sulle questioni del lavoro non vedo chi abbia un peso maggiore del suo. Il convegno è stato un modo per riflettere sul pensiero delle donne sul lavoro e per sondare la disponibilità  del sindacato all’idea lanciata dalla Libreria di costituire a Milano un punto di riferimento pubblico, visibile, permanente, di denuncia del degrado della condizione lavorativa, un’Agorà  del lavoro.


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