Fukushima punto di non ritorno. Dall’era atomica all’era solare

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Prima, l’Homo abilis ha passato circa un milione di anni a scheggiare la pietra per tirarne fuori un lato più aguzzo e tagliente per uccidere gli altri animali, o sezionarli per cibarsene o forse anche per sfruttare le loro pelli. Insomma, unico, a quanto sembra, tra i primati e gli altri animali ha usato la sua abilità  per dotarsi di maggiore capacità  di offesa e di aggressione. E la mente va alle famose immagini con le quali Kubrick, in 2001: Odissea nello spazio, ritrae la perdita dell’innocenza dei nostri avi ancestrali: con gli strumenti di cui si è impadronito, l’Homo abilis può uccidere il suo simile. E su questa strada ha continuato con una velocità  e dei «successi» incredibili, si potrebbe aggiungere, se si pensa che sull’arco dei brevissimi tempi storici è riuscito a realizzare la possibilità  di autodistruzione della sua specie e, allo stesso tempo, di tutta la biosfera: la potenza della fissione nucleare, la bomba termonucleare. Ma poi, anche se ci si è andati più vicino di quanto immaginino gli attuali quarantenni, quell’esito non c’è stato. Non stupisce, con queste premesse, che il mito di Prometeo abbia attraversato indenne la mitologia greca, il pensiero giudaico-cristiano, lo stesso marxismo, per arrivare ai giorni nostri. «Prometeo è caduto a Cernobyl », proclamavamo poco tempo dopo il disastro, denunciando proprio dalle colonne del manifesto il perenne mito del dominio dell’uomo sulla natura. Ancor di più oggi, dopo Fukushima. Al di là  di ogni forzatura retorica, bisogna superare l’illusione di una scienza in grado di rispondere a tutti i problemi dell’uomo, e della tecnologia, sua fedele ancella, che distribuisce a piene mani dalla cornucopia della sicurezza. Viviamo sempre più nella società  del rischio, non solo tecnologico. Il nucleare ne è il paradigma estremo, che incrocia la proliferazione atomica delle armi coi rischi del reattore, la piramide gerarchica e la subordinazione totale del lavoro coi pochi posti che crea, il mito della crescita illimitata dei consumi con gli effetti della radioattività  illimitati rispetto alla nostra ordinaria percezione di tempo e spazio. E sul piano della comunicazione, la segretezza interna con la diffusione esterna dimenzogne criminali o di nubi d’ideologia. Non chiese scusa la stampa francese per aver occultato Cernobyl ai lettori, fino a quando il clamore della manifestazione dei duecentomila il 10 maggio a Roma rese impossibile il silenzio a favore dello Stato nucleare per eccellenza? Il nucleare dopo Fukushima è finito, e proprio a partire da quest’ultima catastrofe il mito di Prometeo appare sempre più come un portato arcaico della cultura umana, forse in procinto di sgretolarsi e frantumarsi. Sarà  anche intrinseco all’avventurosa escalation che ricordavamo, quel procedere della conoscenza umana secondo il metodo trial and error; ma da oggi si potrà  chiedere più sapere e consapevolezza sui trial, e di ridurre sempre più gli error. Scienza e tecnologia si impegnino, questo è oggi un obiettivo possibile. Siamo alle soglie del superare l’angosciosa profezia di Einstein, che vedeva nell’era atomica che si era aperta il preludio di una «catastrofe senza fine», perché è sempre più chiaro che la risposta alla più grave crisi che ci minaccia, quella dei cambiamenti climatici,


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