Il nichilismo al potere

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E nel provvedimento sulla ‘prescrizione breve’, in questa misura di autodifesa distruttiva, si rendono evidenti le implicazioni più generali – e più fatali – dell’essenza nichilistica e paradossale della destra al governo, che si concentra nella persona di Berlusconi. Quell’essenza si presenta con una serie impressionante di inversioni delle logiche politiche di una moderna democrazia, di rovesciamenti dei suoi apparati concettuali. In primo luogo, come sempre, del rapporto fra pubblico e privato: il Parlamento, il luogo per eccellenza della politica, in cui la ‘pubblicità ‘ prende forma, che viene posto al lavoro, a testa bassa, con sprezzo della verita’ e della giustizia, al servizio e al soccorso della singola persona del premier – per salvarlo da pendenze giudiziarie nate dal suo passato di imprenditore –, è la più umiliante icona di questo processo perverso. Che si ripete, senza sostanziali variazioni concettuali, dal caso Ruby – in cui il vecchio e per certi versi nobile armamentario della ragion di Stato è stato mobilitato spudoratamente per rendere ‘politica’, e quindi ministeriale (e pertanto non giudicabile da un tribunale ordinario), una vicenda tutta privata – al caso Mills; e che verrà  iterato, non v’è dubbio, ad ogni futura occasione. Discende da ciò l’inversione tra norma e interesse particolare: la prima, anziché essere una costante, è una variabile di trascurabile importanza, infinitamente plasmabile, suscettibile di innumerevoli interpretazioni e manomissioni; la costante, la stella polare del sistema pubblico, la rocciosa consistenza dello Stato, il baricentro della politica, è invece la privatezza della vita, della libertà  e degli affari (economici e sentimentali) di un singolo. Il liberalismo per una persona sola, il cui peso sovrasta quello della universalità  dei cittadini, come si mostra plasticamente nella scandalosa proporzione di 15.000 a uno: la misura dei processi estinti, delle giustizie negate, dei torti accettati e ribaditi, perché uno si salvi. Non vale sostenere che quel numero è poca cosa, a fronte della quantità  di reati (più del decuplo) che vanno in prescrizione ‘naturalmente’ – per la ‘fisiologica’ patologia della nostra giustizia –: questi, oltre che una macchia sul nostro Paese, sono una statistica, un prodotto casuale di un malfunzionamento generale, mentre quei 15.000 sono consapevolmente aggiunti al caso, sono calcolati come ‘perdite collaterali’ giustificate – come in una guerra – dal fatto che si sta difendendo un obiettivo vitale. Dunque, l’inversione di gerarchia tra l’interesse generale – che vuole sia fatta giustizia – e l’interesse particolare dell’imputato, che è di salvarsi dalla condanna (nel procedimento, com’è diritto di chiunque; ma anche dal procedimento, com’è privilegio esclusivo di chi, mentre è imputato, può cambiare le leggi a proprio vantaggio) ne produce un’altra, ancora più grave: quella fra pace e guerra. Assistiamo infatti, e non da ora, al combinato disposto di due poteri, il legislativo e l’esecutivo, che anziché dedicarsi alla costruzione della giustizia e della pace interna – fondata sull’uguaglianza davanti alla legge e sull’efficienza della macchina giudiziaria – muovono guerra alla magistratura e all’ordinamento, ne cercano le falle non per porvi rimedio ma per trasformarle in comode e legali vie di fuga per un imputato; che, insomma per migliorare l’efficienza di un sistema (il mitico ‘processo europeo’) non lo potenziano ma fanno in modo che funzioni ancora peggio; che, anziché costruire, distruggono. E per di più – ultima beffa, ultima inversione – questa guerra d’attacco viene presentata come legittima difesa dalle ‘aggressioni’, politicamente motivate, della magistratura; come se all’imputato Berlusconi mancassero i mezzi per difendersi dentro le norme e le procedure, e, se ne è il caso, per trionfare sui giudici, svergognandoli per le loro trame. Ma l’aperta sconsacrazione della politica, del primato dell’universale, viene proclamata dal cuore stesso della maggioranza, che nei suoi principali esponenti non resiste alla tentazione di affermare il proprio nichilismo, ammettendo che in effetti l’obiettivo di tutto questo lavorìo è di sottrarre Berlusconi alla ‘persecuzione giudiziaria’, di non farlo processare ne’ nelle aule ne’ nelle piazze (un’improvvida citazione da Aldo Moro). Ora, se la stessa destra rende palese la catena d’inversioni concettuali e di eversioni categoriali che ha costruito, c’e’ solo da augurarsi che le prossime elezioni (a partire dalle vicinissime amministrative) diano il segnale che la maggioranza dei cittadini di questo Paese vuole invece, democraticamente, far uscire la politica dal gorgo che si avvita su di una persona sola, che risucchia e deforma lo spazio politico. E – contrapponendo al nichilismo la realta’, all’eccezione la legalita’ – vuole por fine a una manomissione dello spirito pubblico, a una distruzione del concetto stesso di ‘pubblicità ‘, che è divenuta la disperante normalità  di un’Italia umiliata.


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