In piazza per la democrazia così le rivoluzioni arabe hanno seppellito l’islamismo

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Chi muore suicida non ha diritto a un funerale. Altri cittadini hanno seguito l’esempio di Mohamed Bouazizi, nel Maghreb e nel Mashrek. Sono tutti musulmani, eppure, al momento di sacrificarsi, non hanno tenuto conto della parola di Allah. La prima sconfitta dell’islamismo ha origine da questa disubbidienza ad Allah; il fatto che centinaia di migliaia di persone siano uscite nelle strade a protestare contro un regime corrotto e dittatoriale, senza che venisse mai evocato in alcun modo l’islam o Allah è la dimostrazione che le tesi islamiste ormai sono superate e non riescono più a fare presa. È comprensibile che in Tunisia, che era stata laicizzata dall’ex presidente Bourghiba (1903-2000; deposto con la forza da Ben Ali il 7 novembre 1987) e che comunque è piuttosto refrattaria in generale al fanatismo religioso, i manifestanti non abbiano pensato a protestare in nome dei valori islamici. Per la prima volta la piazza araba non se l’è presa né con l’Occidente né con Israele. Il fatto che l’islam come costituzione e riferimento principale per un nuovo potere sia stato totalmente ignorato dai milioni di persone scesi in piazza è una chiara dimostrazione di quanto questa rivolta si discosti dalle abitudini consolidate. La peculiarità  delle rivolte arabe sta nella loro natura spontanea e nell’obbiettivo che si pongono, l’ingresso nella modernità , vale a dire l’affermazione dell’individuo e il suo riconoscimento come cittadino e non come suddito sottomesso. Questa modernità  nessuno dei partiti politici esistenti l’aveva reclamata in modo tanto diretto. Ma è in Egitto che l’assenza degli islamisti durante le manifestazioni che sono riuscite a cacciare Mubarak, lo scorso 11 febbraio, colpisce maggiormente. Questo Paese è la culla dell’islamismo dal 1928, quando nacque l’associazione dei Fratelli musulmani. Questo movimento è sempre stato combattuto dal potere, perché Nasser fece impiccare il 29 agosto 1966 un grande intellettuale, Sayyid Qutb, il maà®tre à  penser dei Fratelli musulmani, e perché Anwar Sadat fu assassinato il 6 ottobre 1981 da un commando islamista infiltratosi tra le forze armate. Lo scorso mese di febbraio, l’Egitto è stato «liberato» senza la partecipazione degli islamisti. Gli slogan che scandivano i dimostranti di piazza Tahrir facevano riferimento ai valori universali di democrazia, dignità , giustizia, lotta contro la corruzione e il ladrocinio. La gente non reclamava soltanto il pane, ma anche valori fondamentali che faranno sì che i regimi corrotti non possano più regnare in piena impunità . È questa novità  che ha aiutato la rivolta a penetrare in altri Paesi altrettanto chiusi e autoritari, come la Siria o lo Yemen. Gli islamisti reclamano costantemente «un’igiene morale» dello Stato, ma sacrificano sempre l’individuo a beneficio del clan, il clan dei credenti. Non si sono resi conto dell’evoluzione del popolo, non hanno percepito la potenza di questo vento di libertà  che cresceva in silenzio, perfino all’insaputa della maggior parte dei protagonisti della rivolta. Questa è la novità . Non è stata la prima volta che gli egiziani sono scesi in piazza in massa. Non è stata la prima volta che la polizia li ha repressi con ferocia; non è stata la prima volta che dei giovani sono stati arrestati, torturati e perfino assassinati negli scantinati dei commissariati di polizia. Ma è stata la prima volta che la collera è esplosa radicale, profonda, irreversibile. Ed è stata anche la prima volta che questa rivolta ha assunto caratteristiche laiche, senza che i manifestanti lo avessero stabilito. Qualche militante dei Fratelli musulmani ha cercato di salire in corsa sul treno della rivoluzione, ma gli hanno fatto capire che non era aria, e i Fratelli musulmani hanno mantenuto un profilo basso. Questa assenza, nella dinamica della rivoluzione egiziana, ha avuto conseguenze importanti nel panorama politico del Paese. Dopo la partenza di Mubarak e il trasferimento della direzione dello Stato nelle mani dei militari, gli islamisti si sono ritrovati nella mischia, fra tanti partiti politici, costretti a mettere in sordina un fanatismo divenuto anacronistico. Come e perché gli islamisti hanno perso il treno? Innanzitutto perché i Fratelli musulmani sono da tempo in crisi al loro interno. Le nuove generazioni non si intendono con le vecchie. La retorica e i metodi di una volta non funzionano più. Questa crisi è deflagrata al momento della rivolta popolare. I Fratelli musulmani si sono ritrovati superati, marginalizzati, più nessuno credeva alle loro litanie. Questo non vuol dire che il movimento scomparirà . Avrà  un suo posto nel contesto democratico. Prima della partenza di Mubarak si calcolava che in caso di libere elezioni gli islamisti non avrebbero superato il 20 per cento dei voti. Oggi queste stime sono riviste al ribasso. Oggi constatiamo la scomparsa della retorica islamista tra i giovani libici che resistono alla furia del dittatore Gheddafi. Anche in questo caso la resistenza di Bengasi è guidata dalle nuove generazioni, gente che nella maggior parte dei casi ha meno di trent’anni, che in alcuni casi è rientrata dall’Europa e dall’America, dove lavora e studia. Sono arrivati con nuovi metodi di lotta, in particolare Facebook, Twitter e le notizie diffuse attraverso i cellulari. La retorica gheddafiana non li tocca. Hanno bruciato il «libro verde», accozzaglia di pensieri egocentrici senza fondamento e senza interesse. All’inizio, quando gli insorti hanno preso la città  di Bengasi, Gheddafi ha cercato di agitare lo spettro della paura e del terrorismo, dichiarando alle televisioni estere che si trattava di islamisti, di gente di Al Qaeda. Lo ha ripetuto talmente tante volte che si è capito chiaramente che il suo intento era principalmente quello di mandare un messaggio agli occidentali: attenzione, se accorrerete in soccorso degli insorti di Bengasi darete una mano ad Al Qaeda. La manovra non è riuscita. I ribelli non esibivano il Corano, invocavano l’aiuto delle Nazioni Unite, dell’America, dell’Europa. Il mondo non poteva abbandonare una popolazione male armata di fronte all’artiglieria del dittatore che aveva promesso che sarebbe andato a cercarli «casa per casa, fin dentro gli armadi». Quando il Consiglio di sicurezza, con la benedizione della Lega araba e dell’Unione africana, ha votato la risoluzione 1973, che autorizza gli alleati a intervenire in soccorso del popolo in pericolo, Gheddafi ha utilizzato lo stesso stratagemma, parlando di crociate! Ma né la Francia, né la Gran Bretagna né nessun altro è andato in Libia per ammazzare musulmani. Il solo che ammazza e continua a massacrare musulmani è Gheddafi. La sua retorica islamista è completamente sfasata. Ricorda quello che aveva fatto Saddam al momento dell’invasione del Kuwait, nel 1991, quando aveva aggiunto un riferimento islamico sulla bandiera e si era fatto riprendere in preghiera, lui che era un famigerato miscredente. Ma facciamo un passo indietro. L’Occidente per molto tempo ha creduto che fosse preferibile avere a che fare con un dittatore che avere a che fare con gli islamisti. Ha creduto che gente come il tunisino Ben Ali o l’egiziano Mubarak fossero dei «bastioni» contro il pericolo islamista. Gli europei chiudevano gli occhi e aiutavano questi regimi, facevano affari con loro. Improvvisamente l’islamismo acquisiva un’importanza che non corrispondeva alla realtà  e ai fatti. Certo, i Fratelli musulmani contestavano il potere egiziano e si presentavano come l’alternativa di fronte al regime del partito unico. La società  è attraversata da varie tendenze politiche, e una di queste è islamista, ma non ha l’ampiezza e la forza che certi osservatori occidentali le attribuivano. Certo, Al Qaeda ha cercato di insediarsi nel Maghreb, ha fatto sequestri di persona, ha ricattato gli Stati. Ma nessuno pensa più che Al Qaeda sia il vero volto dell’islam. In Tunisia la lotta antislamista era diventata l’alibi perfetto per consentire il radicamento di una dittatura, mettere il bavaglio all’opposizione e fare affari indisturbati. Il leader del movimento islamista Ennahda, Rashed Ghannouchi, rifugiato a Londra, ha detto, appena tornato dall’esilio, che non vuole instaurare una repubblica islamica in Tunisia e che non intende presentarsi alle elezioni presidenziali. La novità  che cambierà  radicalmente i rapporti tra l’Occidente e il mondo arabo è che l’alibi del terrorismo islamico non funziona più. L’islamismo continuerà  a esistere, perché risponde a un’esigenza culturale e identitaria. Ma è l’assenza di democrazia che ha favorito la sua espansione. Una democrazia ben assimilata terrà  conto delle correnti religiose, come terrà  conto delle varie correnti laiche. L’islamismo è stato sconfitto dal popolo. È il popolo che l’ha ignorato e che non ha voluto fare la sua rivoluzione in nome dell’islam, e questo è merito delle nuove generazioni della diaspora araba e musulmana nel mondo. Il vento della rivolta ha spazzato via nella sua evoluzione le vecchie litanie che cercavano di far tornare il mondo islamico ai tempi del profeta Maometto (VII secolo). Ma i giovani hanno una nuova griglia di lettura del libro sacro: una lettura intelligente, razionalista e non letterale. È questo l’elemento nuovo e rivoluzionario. (Traduzione di Fabio Galimberti)


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