Lo tsunami umano dentro la maggioranza

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Ricapitoliamo per cercare di capire i passaggi di questa storia: c’era un governo – anzi no, non c’era un governo, se la parola significa ancora qualcosa nella lingua corrente: c’era, diciamo, un ministro che circa un mese fa aveva messo in allarme l’opinione pubblica parlando di un’emergenza umanitaria in arrivo dall’altra sponda del Mediterraneo e di un’Italia lasciata sola dall’Europa davanti a una prova drammatica. Dopo quell’esternazione preoccupata era lecito immaginare che un ministro così consapevole dei suoi doveri e così gravemente preoccupato da una minaccia che dalle sue parole sembrava veramente apocalittica, si dedicasse subito a predisporre ripari adeguati: mezzi navali allertati a evitare la solita tragica tonnara di vittime, strutture di prima accoglienza da predisporre, sistemi di smistamento, luoghi di alloggio e di assistenza per vecchi e malati, donne e bambini. Era anche logico pensare che, quando la realtà  ha ridimensionato l’annunciato flagello biblico le misure predisposte si sarebbero rivelate sovradimensionate rispetto ai bisogni reali. Certo, il presidente del Consiglio ha parlato di tsunami: ma ci voleva una straordinaria mancanza di senso del pudore e del ridicolo per usare una parola come questa dopo tutto quello che era appena accaduto in Giappone. Ma lo tsunami reale è avvenuto all’interno della compagine di governo, e soprattutto all’interno della Lega, la vera anima di un governo che quanto a funzione del governare è da tempo morto e defunto e resta in piedi solo perché gli avvocati del premier lo telecomandano come un pupazzo meccanico. Questo governo oggi è come la zattera della Medusa: sulla zattera c’è un ministro dell’interno che dopo aver lanciato l’allarme nulla ha fatto per predisporre le istituzioni dello Stato e allestire ordinatamente le risorse di ospitalità  del paese. Mentre le tessere del domino dei tirannelli mediterranei cadevano l’una dopo l’altra e la minaccia della migrazione di popoli interi appariva imminente, niente è stato fatto. Il sistema Italia, quel sistema che aveva trionfalmente costruito in quattro e quattr’otto uno scenario (di cartapesta, va detto) all’Aquila per il G8, è crollato di botto: ma non per l’urto irrefrenabile di orde barbariche paragonabili a quelle che misero in ginocchio l’Impero romano, bensì per l’arrivo di poche migliaia di persone sbarcate a Lampedusa con quattro stracci e tanta voglia di abbracciare i fratelli italiani – quei fratelli che a Lampedusa hanno fornito loro acqua e abiti e calore umano. Ma subito ha trionfato sulle buone intenzioni tutta l’impreparazione, la superficialità , l’improvvisazione del sistema. Non dimenticheremo mai lo spettacolo di quella umanità  abbandonata sugli scogli, coperta da teloni di plastica, costretta a defecare tra i cespugli, ridotta all’estremo dell’esasperazione dalla mancanza di acqua, di cibo, di riparo. E quel che continuiamo a vedere sta mettendo in ridicolo il paese intero: soste interminabili di navi fuori dal porto, in attesa di localizzazioni di campi che poi si manifestano come luoghi fintamente trincerati, da cui si lascia fuggire chi vuole sperando che quella umanità  unita si sciolga come neve al sole e sparisca senza residui. Ma perché avviene questo? Colpa dell’Europa? Colpa della antipatica sorella latina che ci vuol fare un dispetto? No. La realtà  è molto più semplice. Qui al centro di tanti drammi reali c’è un drammatico imbarazzo politico: quello di chi è diviso tra la responsabilità  formale di ministro degli Affari interni del paese Italia e gli obblighi reali dell’uomo politico di un partito che raccoglie tanti più voti quanto più riesce a far crescere la febbre dell’intolleranza e del razzismo nel paese opponendo cittadini a clandestini, padani a meridionali. Gridare al lupo serviva egregiamente ai bisogni della Lega. Risolvere umanamente e civilmente il problema di qualche migliaio di persone in fuga dall’Africa, spartire i doveri dell’ospitalità  equamente fra le regioni magari chiedendo di più alle più ricche lo metterebbe in urto col suo elettorato. E così le bandiere che hanno sventolato per il centocinquantesimo anniversario del paese Italia oggi vengono ammainate nella confusione generale. Il Paese muore: di ridicolo.


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