Misurata, i ribelli festeggiano “La città  è nelle nostre mani” Nuovi raid, bombardata Tripoli

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BENGASI – «Abbiamo vinto! Misurata è libera!». Parole benedette, dopo quasi due mesi di assedio e un migliaio di morti, per gli abitanti dell’unica città  della Tripolitania ancora nelle mani degli insorti, diventata il luogo simbolo della rivolta libica. Le ha proferite il portavoce dei ribelli, Gemal Salem, aggiungendo che nelle mattinata di ieri le truppe di Gheddafi avevano iniziato il loro ritiro, e che questa svolta nel conflitto aprirà  nuovi scenari per l’intero Paese. «I soldati del Colonnello? Alcuni sono morti e gli altri stanno scappando via», ha anche detto Salem. In mattinata, alcuni militari catturati dai ribelli hanno riferito di aver ricevuto l’ordine di abbandonare Misurata, mentre il vice ministro degli Esteri di Tripoli, Khaled Kaaim, ha dichiarato che Gheddafi aveva incaricato le tribù locali di riportare la pace in città , sia attraverso negoziati sia con la forza. «I raid aerei della Nato ci impediscono di applicare sul terreno la nostra strategia “chirurgica”», ha spiegato il vice-ministro, omettendo di dire però che per sette settimane l’artiglieria del Colonnello ha comunque martellato Misurata ininterrottamente con colpi di granata e missili Grad. E in serata nuove esplosioni si sono avvertite nitidamente a Tripoli. Immediata la replica del Consiglio transitorio nazionale di Bengasi, che attraverso Mustafa Gheriani ha espresso scetticismo e cautela sull’improvvisa fine dell’assedio. «Con l’ingresso in campo dei Predator, Gheddafi ha capito che il gioco è salito ancora di un livello», ha spiegato Gheriani, riferendosi al primo attacco, proprio ieri, di un micidiale drone statunitense. «Se le truppe del Colonnello si ritireranno veramente, sono sicuro che le forze democratiche si riuniranno con quelle delle altre città  della regione e delle vicine montagne occidentali per rilanciare un’altra offensiva. Purtroppo, c’è sempre una grande discrepanza tra quello che Gheddafi dice e quello che Gheddafi fa». Quanto alle tribù, usate come una nuova minaccia da parte del Colonnello, Gheriani ha escluso che esse siano intenzionate a lasciarsi coinvolgere nel conflitto. Infatti, salvo la sua tribù, quella dei Ghadafa, molto potente per via del legame con il Colonnello ma numericamente poco importante, e quella dei Megarha, che occupa la parte sud-occidentale della Libia, le altre sembrano avergli girato le spalle. La prima, forte, defezione è stata quella della tribù più popolosa, quella dei Warfalla, che raccoglie oltre un milione di libici. Alla luce di questo cambio di alleanze, c’è un’altra versione su quanto accaduto a Misurata. Alcuni leader tribali che per 42 anni hanno sostenuto Gheddafi al potere, avrebbero ieri svolto un ruolo determinante nella ritiro delle sue truppe. Stufi dei raid della Nato e delle troppe vittime civili, i capi avrebbero intimato al Colonnello di risolvere in fretta il conflitto in corso. Se lui non ce l’avesse fatta, si sarebbero allora mossi loro, con la popolazione locale. Intanto, sempre ieri, nella città  portuale si sono contati almeno 25 morti e un centinaio di feriti, alcuni dei quali saltati su mine recentemente posizionate dalle truppe Verdi, come ha raccontato Khalid Abu Salra dall’ospedale Hikma. «Siamo sovraffollati di pazienti. Ci manca tutto: personale, equipaggiamento, medicine», ha detto anche Abu Salra. Ajdabiya, città  della Cirenaica a 160 chilometri da Bengasi, duramente colpita dalle truppe di Gheddafi e riconquistata solo recentemente dagli insorti, ha deciso di dedicare la sua piazza più grande a Tim Hetherington, uno dei due fotoreporter uccisi a Misurata. «La sua macchina fotografica è più forte di qualsiasi cannone al fronte», ha detto Suleiman Refardi, capo chirurgo del principale ospedale cittadino. «Abbiamo dato alla piazza il nome di Tim, e ora lo consideriamo un nostro martire».


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