Quella mossa “anti quorum” per evitare la bocciatura del legittimo impedimento

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ROMA – Prima una brusca frenata, poi una retromarcia precipitosa. Inevitabili per evitare di andarsi a schiantare nelle urne. L’ultimo sondaggio, planato due settimane fa sul tavolo di Berlusconi, ha certificato infatti il baratro che stava per aprirsi sulla strada del governo: i contrari al nucleare, dall’incidente di Fukushima, erano balzati avanti di venti punti, arrivando a sfiorare il 70 per cento. E tra questi, notizia ancora più allarmante per palazzo Chigi, anche il 50 per cento degli elettori del Pdl. Percentuali disastrose, soprattutto se calate nel clima della campagna elettorale per le amministrative. In gioco, per il Cavaliere, non c’era più soltanto la costruzione di quattro centrali atomiche, ma la sua stessa sopravvivenza politica: «Non ci possiamo permettere una sconfitta di queste proporzioni, il governo ne sarebbe travolto». Oltretutto si sarebbe trattato di un tripla bocciatura della politica governativa. A mezza bocca molti ministri ammettono che a giocare un ruolo importante nella decisione di mettere uno stop al nucleare sia stato infatti il referendum sul legittimo impedimento, che avrebbe beneficiato di un effetto traino per il concomitante quesito anti-atomo. Senza contare la privatizzazione dell’acqua. Insomma, una debacle per Berlusconi, con una sconfitta senza appello nelle urne che avrebbe potuto portare a una crisi di governo. A determinare la svolta è stato Giulio Tremonti, già  prima di Fukushima scettico sulla sostenibilità  economica del programma atomico del premier. Non è un caso se ieri il ministro dell’Economia si sia molto speso sui «benefici locali» di contro ai «malefici generali» del nucleare in caso d’incidente, invitando a valutare gli enormi costi che stanno affrontando i Paesi, come la Germania, che hanno deciso di abbandonare le vecchie centrali. È stato del resto proprio Tremonti a mettere nero su bianco, nel Programma nazionale di riforma approvato giovedì scorso, la moratoria al nucleare «fino a che le iniziative già  avviate a livello di Unione europea non forniranno elementi in grado di dare piene garanzie sotto il profilo della sicurezza». Ma è chiaro che Berlusconi, se tatticamente è costretto alla «pausa di riflessione», non accetta di rinunciare tout court a quella che fino a ieri – insieme al ponte sullo Stretto – è stata la bandiera del suo programma elettorale. Ragionando con i suoi, il premier ieri ha scavato la nuova trincea dove schierarsi dopo la ritirata: «Deve essere l’Europa a farsi carico di questo problema. Serve una direttiva che fissi dei criteri di sicurezza comuni, a cui tutti dovranno conformarsi. E noi, come gli altri, ci atterremo a quegli standard europei». Che il premier intenda tornare presto alla carica lo si capisce in fondo anche dalla road map che traccia il ministro Paolo Romani. «Il referendum – spiega – avrebbe introdotto nel nostro dibattito degli elementi irrazionali, emotivi, delle chiusure ideologiche di cui non sentiamo davvero il bisogno. Io resto nuclearista, il problema ora è capire come possiamo andare avanti e il governo su questo ha le idee chiare: entro l’estate convocheremo una Conferenza per l’Energia e in quella sede presenteremo la “nuova strategia energetica nazionale”». L’idea è dunque quella di far passare l’ondata referendaria restando aggrappati agli scogli, per poi tornare a riproporre il nucleare, ma solo dopo che si sarà  pronunciata la commissione europea. «Il nucleare – ripete Romani – è un problema europeo, basti pensare che 14 paesi non ce l’hanno e 13 sì. L’Europa è divisa in due e deve trovare una posizione comune: noi ci adegueremo». Il problema è che ormai, nella stessa maggioranza, il fronte degli scettici sta ingrossando giorno dopo giorno le sue file. Di Tremonti s’è detto, per non parlare di Stefania Prestigiacomo, la prima a sollevare il problema all’indomani dell’incidente giapponese. Ma è tra gli ex An – dove resistono molti reduci delle campagne antinucleare del Fronte della Gioventù – che si registra la più alta concentrazione di ambientalisti. Nel governo il loro portabandiera è Giorgia Meloni, che ieri a fatica tratteneva la sua soddisfazione: «Ormai è finita». Fabio Rampelli, antinuclearista della prima ora, gela le speranze di Romani di ritirare fuori il dossier tra qualche mese: «Per questa legislatura è chiusa, se ne riparlerà  nella prossima, lo sa anche Berlusconi. E noi saremo sempre qui a metterci di traverso. Piuttosto il governo pensi a come trasformare un apparente svantaggio, la mancanza di centrali, in una opportunità : fare dell’Italia l’avanguardia nelle fonti di energia rinnovabili e nella ricerca sul nucleare pulito».


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