Se la crescita non accelera al 2% tagli alle spese vive per 35 miliardi

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ROMA – Una stangata colossale. Un vero e proprio massacro epocale. «Ci aspettano sacrifici», si è detto qua e la negli ultimi tempi in autorevoli sedi istituzionali. Altri, come Giuliano Amato e Pellegrino Capaldo, hanno proposto una patrimoniale con l’obiettivo di raccogliere i 4-500 miliardi necessari a far scendere il nostro debito pubblico verso l’80 per cento del Pil dall’attuale montagna del 120 per cento. Ora si guarda al 2020 anno in cui il debito pubblico potrebbe essere stabilizzato, ma alle orecchie degli italiani suona come la profezia dei Maya. Qual è lo spettro che sta agitando coloro che hanno a cuore i conti pubblici del nostro paese? Che cosa allarma gli addetti ai lavori che guardano oltre l’orizzonte del presente? Perché questa nuova agitazione intorno ai nostri Bot e Cct? Il perché si chiama «regola del debito» e, come ha deciso Bruxelles, si sommerà  al vecchio parametro di Maastricht che impone di stare sotto il 3 per cento e successivamente di raggiungere il pareggio di bilancio (ovvero un deficit uguale a zero). Detto in altri termini il «fantasma» è il rafforzamento del Patto di stabilità  e crescita, sfornato dopo la crisi dei debiti sovrani di Grecia, Irlanda e Portogallo dell’ultimo anno, ormai parte integrante delle normativa europea e pronto a dispensare sanzioni anche per il debito oltre ai tradizionali «cartellini rossi» per il deficit. La nuova regola dice che i paesi che hanno un debito superiore al 60 per cento (la metà  di quello italiano) devono ridurre lo scostamento del 5 per cento ogni anno, per il nostro paese significa 45 miliardi all’anno in meno. Una cura da cavallo che costerebbe uno sforzo spropositato e letale, e con la quale dovranno fare i conti fin da oggi tutte le manovre di bilancio, e che sembra avere una sola via d’uscita: la crescita. E’ questa la strada indicata dal governatore della Banca d’Italia Draghi che ha indicato nel 2 per cento il tasso di crescita del Pil annuale in grado di soddisfare entrambe le regole, quella sul debito e quella del bilancio. Evitando macelleria sociale. L’anno «magico» delle simulazioni econometriche di Bankitalia è il 2020. Ma un conto è arrivare a quella data con i motori della crescita a pieni giri, un conto è giungere al traguardo sfuggendo a stento alla recessione. Certo è che se la crescita media fosse solo dell’1 per cento, come è stato l’andazzo dell’economia italiana nella prima metà  del passato decennio, la rincorsa ci lascerebbe con le ossa rotte. Se ci si rassegnasse a questa strada bisognerebbe ridurre il rapporto deficit-Pil già  nel 2014 allo 0,5 per cento (dal 3,9 attuale) mettendo così in programma, nei sei anni che vanno dal 2010-2016 tagli alla spesa corrente fino a 35 miliardi. Si tratterebbe, in altri termini, di una riduzione del 5,3 per cento delle spese vive, sociali e di welfare, al netto di interessi e investimenti. E’ questa la via scelta dal governo? «No lacrime e sangue», ha detto il ministro dell’Economia Tremonti ma ha già  fissato il pareggio di bilancio al 2014 ovvero prevedendo una tappa di un percorso che sembrerebbe rassegnarsi ad una crescita dell’1 per cento e a tagli violenti. L’altra strada, se si vuole evitare la patrimoniale, è quella della crescita almeno del 2 per cento del Pil come del resto stanno già  facendo alcuni paesi europei (vedi Germania). In questo caso il risultato, secondo le proiezioni econometriche di Via Nazionale, sarebbe assai più digeribile: il rapporto tra debito e Pil scenderebbe di 29 punti (cioè 460 miliardi) nel decennio 2010-2020, ma sarebbe sufficiente raggiungere il pareggio di bilancio nel 2016 (come già  stima l’Fmi) e rimanere a galleggiare con un deficit-Pil dell’1,7 per cento fino al traguardo del 2020. Come è evidente l’orizzonte annuale delle manovre di bilancio non basta più.


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