Sull’isola cinese va in scena il «G8» degli emergenti

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PECHINO— L’isola è quella delle vacanze (dei neoricchi ma anche della classe media). Una vacanza, però, l’appuntamento di domani non lo sarà . Non per la Cina, padrona di casa ad Hainan, isola-provincia devota al turismo e a esperimenti fiscali. Neppure per gli ospiti: Brasile, India, Russia e il neoacquisto, il Sudafrica. Il vertice lampo del cosiddetto Brics— acronimo dai nomi dei Paesi che lo compongono — si appresta a consolidare la vocazione del gruppo come un contro-G8. Un consesso alternativo alle grandi potenze economiche che almeno fino alla crisi del 2008 avevano egemonizzato, se non altro sul fronte decisionale, la scena del mondo. La Cina è il timoniere. Nella settimana in cui a Washington si riuniscono ministri economici del G20, Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, qualche nostalgico potrebbe intravedere nel Brics una forma sintetica, rivista e aggiornata della conferenza afroasiatica di Bandung (1955). L’agenda, tuttavia, è ferocemente attuale. Libia compresa, «uno dei grandi motivi di preoccupazione dei dirigenti del Brics» , per il viceministro cinese Wu Hailong. Pechino rivendica la natura anche politica della formula a 5, che domani si manifesterà  con quattro presidenti (Hu Jintao, Dilma Rousseff, Dmitri Medvedev e Jacob Zuma) e un premier (l’indiano Manmohan Singh). «Sotto un sistema politico ed economico dominato dall’Occidente, ricchezza e potere globali sono stati a lungo distribuiti in modo iniquo tra Paesi sviluppati e no» , ha scritto in un editoriale Tao Wenzhao, del centro per le relazioni sino-americane dell’università  Tsinghua, e invece i Paesi del Brics hanno «influenza sugli sforzi globali per una buona “governance”» . Era stata la Goldman Sachs nel 2001 a coniare il termine Bric, cui ora si somma la «S» di Sudafrica. Le cifre aggiungono sostanza. Il Fmi ha calcolato che se la crescita dei Paesi emergenti ha superato il 7%nel 2010, nel 2011 dovrebbe comunque restare sul 6,4%, e se vent’anni fa le nazioni del G7 producevano il 70%della ricchezza del mondo, ora sono scese al 50%. Inoltre, la tenuta della Cina di fronte alla crisi finanziaria ne ha favorito il ruolo guida. Eppure l’incontro di Hainan promette qualche ruvidezza. Certo, la Cina con ogni probabilità  non dovrà  ascoltare reprimende sui diritti umani (come invece ieri è avvenuto da parte dell’Unione europea, con Catherine Ashton). Però motivi di dissidio ci sono. Al di là  dei 21 accordi siglati ieri dal suo governo e dai suoi imprenditori, tra cui la fornitura di aerei made in Brazil a compagnie cinesi, le apprensioni del Brasile riguardo il valore basso del renminbi ricordano molto quelle Usa. Il Paese sudamericano cerca equilibrio negli scambi e «reciprocità » . Alti e bassi della penetrazione cinese in Africa si riflettono pure nel caso del Sudafrica, dove le industrie tessili patiscono la concorrenza cinese. La stessa Russia ha contenziosi con la Cina sul fronte energetico, tant’è che l’ambasciatore a Pechino, Sergei Razov, si è sentito in dovere di dichiarare al Global Times che «la teoria della minaccia cinese non è dominante nel mio Paese» . Dove la Cina è davvero chiamata a una prova di maturità  è la Libia. Se ne parlerà , anche perché il Sudafrica è il solo Paese dei cinque ad aver votato sì alle misure «necessarie» a protezione dei civili, anticamera dei raid, mentre a Pechino forte è l’imbarazzo per la propria astensione all’Onu. Di Libia si parlerà , da vedere gli esiti. Le differenze nel Brics abbondano, dalle dispute territoriali Cina India alle divergenze sul Consiglio di sicurezza (la Russia appoggia il desiderio brasiliano e indiano di farne parte, la Cina no). Il mare di Hainan potrebbe rivelarsi non così placido, domani. Tocca alla Cina (non da sola) mostrare se il Brics sia un anti-G8 dalla progettualità  autonoma, spendibile nel G20, oppure se si avvii a rivelarsi una semplice sigla.


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