Tra palazzinari e disoccupati l’outsider targato Vendola spaventa la destra di Cagliari

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CAGLIARI – «Justizia pronta, vindicta fatta». Il vecchio brocardo che Antonio Pigliaru considerava fondante dell’ordinamento giuridico barbaricino ha il volto di Massimo Zedda. Trentacinque anni, discreta somiglianza con Tom Cruise, figlio dell’ex segretario cagliaritano del Pci, ex attore, ex co.co.co e co.co.pro, lui stesso dirigente locale del Pds e dei Ds e adesso consigliere regionale del Sel di Nichi Vendola, ha stracciato alle primarie (46 a 34) il mostro sacro diesse Antonello Cabras. Senatore, ex socialista, ex presidente della Regione, ex sottosegretario con Prodi e D’Alema, Cabras è il leader di quei Castosauri che Renato Soru accusò poco più di due anni fa di aver tramato con la destra affarista per silurarlo da governatore della Sardegna. Ma la vera sorpresa è che gli stessi freschissimi sondaggi del centrodestra, che schiera Massimo Fantola, esponente delle grandi famiglie imprenditoriali della sanità  e del mattone che dominano in città  e in regione da mezzo secolo ed ex pattista di Mariotto Segni, danno il piccolo Tom Cruise cagliaritano non solo al ballottaggio, ma addirittura in vantaggio. In una congiuntura politica locale analoga a quella di Milano, dove i finiani duri e puri annunciano che confluiranno non su Letizia Moratti, ma sul candidato del centrosinistra Giuliano Pisapia. Qui i finiani correranno da soli con Ignazio Artizzu, stagionato gentiluomo beniamino dei cacciatori, recordman di preferenze alle ultime regionali (10.408), il quale, nel denunciare che «Cagliari è oppressa dai clan delle grandi famiglie», ha già  annunciato che in caso di ballottaggio lui e i suoi non saranno col candidato di centrodestra, perché «chi è sgradito prima, è sgradito anche dopo». Meglio il giovanotto vendoliano. «Mantene s’odiu ka sas occasiones non mancant»: Renato Soru l’occasione l’ha attesa in silenzio. Tornato in pista caricatissimo e saltellante, appena assolto nel processo per un appalto alla Satchi & Satchi, tra le sculture di Costantino Nivola che adornano i giardini dinanzi alla sede di Tiscali a Sa Illetta, dopo «bogau a sonu de corru», cioè essere stato cacciato in malo modo, giura di non macerarsi «pietrificato dal rancore». Anzi, di aver siglato la riconciliazione con Cabras, che ha votato alle primarie, perché lui é tra i 45 fondatori diesse e perciò impegnato «da un vincolo di lealtà  e di appartenenza». «Un soldatino tutto proteso a costruire il Pd sardo in base all’articolo 13 dello Statuto, superando il partito delle tribù contrapposte». Di fatto, Soru è diventato maggioranza nel Pd sardo e tiene in ostaggio il segretario Silvio Lai, dopo averlo fatto fuori da consigliere regionale non ricandidandolo. Ma l’altra sera mister Tiscali esultava tra i mille fan di Vendola, acclamato come una rockstar, accorsi ad ascoltare il viatico al candidato che, se eletto, sarebbe il primo sindaco di centrosinistra a Cagliari nel dopoguerra, salvo tal Ferrara, un socialista che governò con la Dc nella notte dei tempi. Se alle primarie ha votato Cabras in nome dell’unità  del partito, di cui si ritiene «un dirigente nazionale», la figlia Alice ha invece organizzato una cena elettorale per il giovane Zedda. E comunque non dimentica la telefonata che Massimo D’Alema fece a Matteo Renzi il giorno delle primarie fiorentine, raccontata dallo stesso sindaco-rottamatore: «D’Alema mi disse: ora sostengono che tu sia l’astro nascente della sinistra. Ti consiglio di stare attento perché l’ultimo astro nascente, Renato Soru, l’abbiamo maciullato». Una macelleria che precedette di poco quella del segretario di allora Walter Veltroni. A parte la gioventù, Renzi ha poco in comune con Zedda. L’uno va in visita ad Arcore, manda il suo libro con dedica a Berlusconi e si disse che trionfò alle primarie con l’aiuto delle truppe cammellate di Denis Verdini che, sapendo di non poter vincere a Firenze, preferiva lui a chiunque altro del Pd. L’altro promette sfracelli per le camarille berlusconiane e trasversali che governano la città  e la regione tra affari di cemento e di sanità , con l’occhio vigile delle massonerie e le incursioni della P3 di Flavio Carboni, Denis Verdini e Marcello dell’Utri negli affari eolici. Per cogliere con un solo sguardo il filo degli affari che si intrecciano nel capoluogo sardo, bisogna salire sul bianco colle calcareo di Tuvixeddu, dove tra orchidee, fichi d’india e le ruggini nerastre di un cementificio abbandonato, a pochi passi da duemila tombe scavate nella roccia che formano la più grande necropoli punica del Mediterraneo, svettano appena costruiti due palazzi. La prima avanguardia di altri 48 palazzi, 260 mila metri cubi, in una città  con 13 mila appartamenti disabitati, che l’immobiliarista Gualtiero Cualbu vuole colà  edificare. L’aveva fermato Soru, poi i lavori erano ripresi, finché qualche settimana fa il Consiglio di Stato ha bloccato tutto. Se vincerà  il candidato di centrosinistra, la promessa sono le ruspe per abbattere lo sfregio. Guardi giù a valle, oltre la Grotta della Vipera, la tomba del secondo secolo dopo Cristo della nobile romana Attilia Pomptilla, e tre torri ostruiscono la vista dello stagno di Santa Gilla. Le ha costruite Sergio Zuncheddu su terreni che si dice appartenessero precedentemente ad Armandino Corona, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia da qualche anno defunto, che fu presidente della Regione. Il palazzinaro di Burcei è proprietario del giornale cittadino Unione Sarda, di cui è presidente Carlo Ignazio Fantola, fratello del candidato sindaco del centrodestra, e comproprietario del Foglio di Giuliano Ferrara. L’accordo era che quelle torri sarebbero state vendute alla Regione, ma Soru si mise di traverso e ora Zuncheddu rincorre una difficile via d’uscita per un investimento del valore di 150 milioni che Fantola sindaco potrebbe favorire. Se i palazzinari non sono tranquilli per l’incerta partita municipale, i clinicari, altro potere cittadino, temono per la ristrutturazione in corso del settore. La famiglia Ragazzo è entrata in crisi, i Santa Cruz hanno passato la mano. A chi? A Emilio Floris, il sindaco uscente di Cagliari, mentre gruppi continentali come il San Raffaele si stanno affacciando in forze nell’isola. Il ricordo che Floris lascia alla città  è quello di un sindaco incolore e dannoso. In una città  sporca e fatiscente, dove si paga la più alta Tarsu d’Italia e gli appalti vengono prorogati pur di non indire nuove gare, il Municipio e il Consiglio Regionale lungo via Roma sono quotidianamente assediati da cassintegrati, disoccupati, piccoli imprenditori al fallimento per l’esosità  delle multe di Equitalia. La disoccupazione giovanile in città  è al 54%. I pochi progetti che avevano un senso sono chiusi nei cassetti: la metropolitana leggera non ha mai visto la luce ad opera della lobby che vuole quella sotterranea, costo 70 milioni a chilometro e chissà  quanto di progettazioni. Non c’è traccia del nuovo campus universitario, né della riqualificazione del centro storico, di Sant’Elia. Giace il museo della cultura nuragica progettato dall’architetto Zaha Hadid, per il quale erano belli e pronti i finanziamenti, mentre al Poetto, spiaggia dei cagliaritani, si vagheggiano grandi alberghi stile Rimini. Ancora venti giorni e sapremo se il piccolo rottamatore di Sardegna potrà  dar vita per i coetanei al suo «Fondo per spiriti ribelli». O se il suo destino è di essere maciullato dalle camarille di destra e di sinistra.


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