America Latina: cresce la tutela dei diritti, ma spesso resta sulla carta

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Tuttavia, molte sono ancora le situazioni nelle quali la difesa dei diritti umani si ferma sulla carta, non riscontrando analoga tutela nella pratica. Di conseguenza, continua il rapporto, se i singoli governi e soprattutto le organizzazioni di base e la società  civile possono considerarsi meritevoli del conseguimento di risultati positivi, si tratta ancora di un progresso lento e zoppicante.

Caratteristica specifica del processo di crescita sociale in America Latina è stata la spinta costante degli strati di popolazione più vulnerabili, gli stessi che sono stati, e in alcuni casi continuano ad esserlo, vittime di violenze e soprusi. È stato proprio lo sforzo di coloro che più hanno sofferto, che ha reso impossibile che i governi di riferimento potessero continuare ad ignorare la tutela dei diritti umani nelle rispettive agende politiche. Tanto che, la responsabile della sezione latino americana di Amnesty International, Susan Lee, ha sottolineato come il continente latino possa insegnare molto agliattuali movimenti di protesta civile in Nord Africa e in Medio Oriente, in lotta contro i regimi oppressori.

Il rapporto 2011 evidenzia come la difesa dei diritti umani continui ad essere un esercizio pericoloso in gran parte della regione, in particolar modo in Brasile, Colombia, Cuba, Ecuador, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico e Venezuela, paesi dove gli attivisti sono vittime di omicidi, sparizioni, minacce e altre limitazioni delle libertà  personali, in molti casi favoriti da sistemi giudiziari incapaci di assicurare alla giustizia i colpevoli. Emblematico il caso del Messico, dove la Commissione Nazionale per i Diritti Umani ha denunciato oltre 1600 casi di abusi compiuti da membri delle forze armate, senza che si sia registrato un solo caso di condanna definitiva.

Tra le popolazioni più esposte a violazioni ed ingiustizie, da sempre spiccano in America Latina quelle indigene. Le comunità  native sono considerate un intralcio agli interessi economici di gruppi di imprese locali e multinazionali, arricchitisi oltre misura negli ultimi anni, grazie allo sfruttamento del suolo e all’avvio di mastodontici progetti di sviluppo, come miniere, dighe e vie di trasporto. Diversi sono i casi di minacce, omicidi, sfollamenti o abbandoni forzati delle proprie terre a causa del deturpamento ambientale, subiti dalle comunità  ancestrali. Il 2007 avrebbe dovuto rappresentare un punto di svolta, grazie alla firma di diversi stati della Dichiarazione sui diritti delle popolazioni native. Ad oggi, però, nessuno degli stati firmatari ha varato alcuna norma di attuazione a tutela delle comunità  colpite. Su tutti valga l’esempio della regione del Maranhao, in Brasile, dove alcune lobby di agricoltori hanno ripetutamente minacciato di morte i leader delle comunità  indigene impegnati nella difesa del riconoscimento delle proprie terre.

Dal punto di vista della sicurezza pubblica, tutti i paesi dell’America Latina vivono il problema della violenza organizzata, che trova nel fenomeno del pandillaje (associazioni di bande di strada) una delle proprie espressioni più tipiche. Ciò si manifesta in particolar modo in contesti urbani caratterizzati da estrema povertà , laddove più si fa sentire l’assenza dello stato e di valide alternative alla vita di strada. La rapidissima proliferazione di armi di piccolo calibro alimenta il problema ed i singoli governi hanno dimostrato scarso interesse ed impegno nella risoluzione del fenomeno. Alla violenza si è pensato di rispondere solo con repressione ed ulteriore violenza, anziché con programmi di assistenza ed inserimento sociale. Evoluzione naturale della situazione è la costante lotta tra le organizzazioni criminali e le forze di polizia, con gli abitanti dei quartieri vittime di violenza da parte di entrambe le parti in conflitto. Tra le favelas di Rio de Janeiro, nello scorso Novembre, nel giro di una sola settimana sono morte ammazzate oltre 150 persone (molte di esse minorenni), durante gli scontri a fuoco tra la polizia e le bande di spacciatori di droga.

Corruzione e impunità  sono ulteriori elementi che peggiorano il quadro della tutela dei diritti umani nella regione. Tuttavia, secondo quanto riportato da Amnesty International, negli ultimi anni enormi progressi sono stati raggiunti sotto questo punto di vista. Storiche ed esemplari sono state le sentenze di condanna, solo per citarne alcune, dell’ex presidente argentino ed ex generale militare Reynaldo Bignone, dichiarato colpevole di tortura, omicidio e rapimento, così come dell’ex presidente peruviano Alberto Fujimori, attualmente in carcere per omicidio, corruzione e violazione dei diritti umani.

Rimanendo in ambito giudiziario, esempio lampante di giustizia sommaria nel continente è rappresentato dal caso Guantanamo, dove non solo la promessa di chiusura del centro di detenzione da parte di Barack Obama non è stata mantenuta, ma persistono casi di ricorso a torture e pratiche contrarie al rispetto dei detenuti.

Il rapporto 2011 etichetta il continente americano come “luogo di lavoro pericoloso per i professionisti dei mezzi di informazione”. In Messico, Honduras, Brasile e Colombia, diversi giornalisti impegnati nella denuncia di casi di corruzione e violenza sono stati assassinati. La libertà  di stampa e di espressione ha subito pesanti limitazioni in particolare in Venezuela, a Cuba e nella Repubblica Dominicana, dove alcune emittenti tv e radio sono state costrette alla chiusura.

In definitiva, nonostante i già  sottolineati progressi compiuti su tutto il territorio latino, molti sono ancora i gruppi di popolazione che vedono negati i propri diritti più elementari. La mancanza di volontà  politica e il prevalere degli interessi economico-commerciali sui diritti sociali, rendono l’America Latina una regione dove si registra quotidianamente un livello di abusi tutto’ora inaccettabile. La classe dirigente dovrebbe fare una scelta decisa nell’appoggiare i movimenti di base che lottano per il riconoscimento della loro propria esistenza. In caso contrario, il rischio è quello che si ripetano situazioni come quella del Perù, dove nel maggio del 2010, su spinta delle comunità  ancestrali, il Congresso ha approvato la legge sui diritti delle popolazioni native, ma lo sforzo è stato infine reso vano dal rifiuto del presidente Alan Garcia di promulgarla.



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