I bluff di Debenedetti

Loading

Dipende da come lo si guarda quel bicchiere che è mezzo pieno o mezzo vuoto. Se dalla parte del millantatore, o da quella del piccolo eroe di nostri tempi, che sono sì scarsi e miserabili, ma anche dotati di sorprendente provocazione. Prendete il caso di Tommaso Debenedetti: un falsario a oltranza, forse finito in un gioco più grande di lui, pescato con le mani nel sacco, come usa dire. La sua opera di “invenzione” ha risvegliato l’attenzione della stampa internazionale: infastidita, ma anche attratta dal suo lavoro: una settantina di interviste, inventate di sana pianta, ai più grandi scrittori. Un “crimine” perpetrato per anni senza che nessuno se ne accorgesse, è il bottino letterario oggi sotto gli occhi di tutti. Perfino Umberto Eco, coinvolto in una beffa (una finta lettera del Debenedetti inviata e pubblicata dal’Herald Tribune), ha reagito sull’ultima Bustina di Minerva, stigmatizzando piuttosto piccato il senso dell’operazione. Di Debenedetti sappiamo che è il figlio di uno stimato scrittore e giornalista, nonché nipote di uno dei più grandi critici letterari del Novecento. Lo raggiungo telefonicamente.
Debenedetti, ci dica qualcosa di lei.
«Ho 42 anni, sono laureato in lettere con una tesi su Alberto Moravia. Mi sono occupato prevalentemente di letteratura, ho scritto per Nuovi Argomenti, Studium e altre riviste di settore. Ho fatto il critico letterario per La Gazzetta di Parma dal ’94 al ’99. Poi è accaduto l’imprevisto».
Ha cominciato a inventare?
«Le spiego com’è andata. Un giornale mi ha chiesto di intervistare Gore Vidal che era a Roma per presentare il suo nuovo libro. E lui, che in un primo momento aveva accettato di incontrarmi, ci ripensa e non mi dà  più l’intervista. Non sapevo che fare. Alla fine ho deciso di utilizzare le cose che aveva detto pubblicamente e quelle che già  conoscevo attraverso i suoi libri per scrivere una specie di dialogo immaginario che il giornale locale è stato ben felice di pubblicare. Passa del tempo e io mi dico: che strano, nessuno si è accorto che l’intervista era falsa».
E a quel punto che fa?
«Ho telefonato a un paio di testate chiedendo se fossero interessate a una intervista a John le Carré. Le stesse che, se gli proponevo un articolo dicevano no, di fronte all’intervista al grande nome mi davano una pagina intera».
E questo gioco per quanto tempo è andato avanti?
«Grosso modo dal 2000 al 2010. Alla fine collaboravo con diversi giornali locali. Nessuno però si era mai chiesto come mai un oscuro giornalista freelance potesse contattare nomi di quel calibro. Avevo a disposizione, almeno virtualmente, il mondo intero. Una dichiarazione di politica internazionale di Roth, un commento di Grossman sulla crisi mediorientale, qualunque cosa era fattibile. Nessuno faceva verifiche e mi chiedevo fino a che punto sarei potuto andare avanti».
Fino a quando non hanno scoperto il suo bluff.
«È stata la vostra Paola Zanuttini a scoprire il gioco proprio intervistando Philip Roth, al quale ha chiesto perché aveva dichiarato a Libero che era deluso della presidenza Obama. Ovviamente, avendo inventato tutto, Roth disse di non aver mai rilasciato una simile intervista né detto quelle cose su Obama. A quel punto la cosa è cresciuta di tono: il New Yorker mi ha dedicato un ampio articolo, l’Ansa mi ha intervistato. Ho reagito rilanciando e sostenendo che era tutto vero e che avrei querelato Roth».
Non ci si può credere. Ma non ha temuto ritorsioni legali?
«Finora non ce ne sono state. Roth ha detto che non aveva tempo da perdere. Neppure Grisham, che pure ha minacciato di querelarmi, ha fatto nulla. E dire che ha dietro uno studio legale potentissimo».
Si definirebbe un truffatore o un frutto tardivo della postmodernità ?
«C’è differenza? Le dirò che quando ho letto tutte in fila le settanta e passa interviste – da Ratzinger e Walesa fino a Grisham e le Carré – ho notato che a legarle è una specie di creazione situazionista e che se non fossero state il risultato della occasionalità , sembrerebbero il frutto, spurio e malandato, della postmodernità ».
Conosce la differenza tra finzione e verità ?
«Ho visto che proprio Eco mette in dubbio che io sappia qual è la distinzione. Nell’era del web ognuno può inventare qualunque cosa, fingere di essere Vargas Llosa, Philip Roth o Umberto Eco, come ho fatto, ed essere creduto. Ecco perché il limite tra finzione e verità  è variabile».
Quanto variabile?
«Al punto da far scomparire la differenza. In anni passati una notizia era falsa soprattutto per la contraffazione ideologica, oggi la questione è molto più complicata. Nell’attuale sistema mediatico chiunque può essere chiunque. Se si è abbastanza bravi – diciamo dotati del talento di un falsario – si possono far girare in Internet le notizie più incredibili».
Non le è bastato essere scoperto? Diciamo pure: sputtanato.
«Quando il gioco sembrava finito, mi sono sentito morire. Poi ho pensato che sputtanato per sputtanato tanto valeva che provassi a divertirmi. Ho capito che anche il sistema del falso è un modo per fare giornalismo e serve a scoprire i punti deboli dei media. Ho creato una falsa mail di Umberto Eco e l’ho mandata all’Herald Tribune. E loro hanno pubblicato integralmente la breve lettera senza chiedersi come e da chi fosse arrivata, senza fare una telefonata di verifica. La velocità  e l’istantaneità  delle notizie sono la falla nel sistema. E per questo nell’era della simultaneità  e della finzione il giornalismo si va confondendo sempre più con la letteratura».
A proposito di letteratura, lei ha un padre giornalista e scrittore e un nonno che è stato un critico molto importante. Non ha mai pensato a loro?
«Non ho un rapporto forte con il mondo familiare».
Magari una rivalsa, un desiderio di cancellazione.
«Non so se c’è un Edipo che agisce in me. Però inventando le interviste ho sempre seguito un percorso letterario e questo è stato un modo per sentirmi più vicino a mio nonno che a mio padre».
Cosa la distingue da suo padre?
«Con lui la rottura è totale. È sempre stato un giornalista molto accurato che esercitava un controllo maniacale delle fonti. Pensi che rileggeva le interviste agli interessati. Ricordo delle telefonate interminabili e io tra me e me dicevo: “che noia quest’uomo!”».
Una persona, in realtà , semplicemente corretta. Come ha reagito a questa vicenda?
«Mio padre è rimasto assolutamente sconvolto e se è possibile il rapporto tra noi è diventato ancora più difficile. Mia madre si è divertita, ma so che era molto infastidita dalla piega che ha preso la storia».
Cos’è il successo per lei?
«È difficile da definire. Diciamo che non punto alla riconoscibilità  che può dare la televisione. Non me ne frega niente. Io cerco la creazione mediante la parola, anche attraverso i falsi».
Si definirebbe un mitomane?
«Non in senso patologico. Però non disprezzo la mitomania, se è esercitata in campo letterario. Molti scrittori sono un po’ mitomani e un po’ bugiardi. La menzogna va bene fin quando non diventa calunnia e oltraggio».
Cos’è la vita di un freelance?
«Difficile e grama. Non si arriva alla fine del mese. È un giornalista considerato di serie B. E quando fa il mestiere onestamente, quasi mai riesce a sfondare. Si deve accontentare delle briciole».
Ha mai considerato le sue menzogne dal punto di vista etico?
«All’inizio è stato un vero problema. È giusto che io metta in bocca a una persona frasi che non ha mai dichiarato? Ma poi mi sono detto: che cos’è più brutto, far dire a Derek Walcott qualcosa di sensato sul terremoto di Haiti, oppure mettere in moto notizie false che distruggono carriere e persone? È etico che un giornale creda di comprare un’intervista esclusiva a un Nobel e paga venti o quaranta euro? È etico affogare nella precarietà ?».
Con i giornali ha chiuso?
«Penso proprio di sì. Non credo che qualcuno sia ancora interessato alla mia firma. Non è finito il mio lavoro giornalistico, è finita la mia carriera da giornalista».

 


Related Articles

La secolare fucina delle streghe

Loading

I meccanismi di costruzione della «striga» in un saggio di Marina Montesano

Geografia Mappe reali per futuri cittadini

Loading

Geografia. Un «Laboratorio» per orientarsi nel mondo, pubblicato da Zanichelli. Manlio Dinucci e Carla Pellegrini, con la loro scrittura, arginano la deriva che cancella la materia dagli studi

Il valore di una presenza migrante

Loading

Recensione del Calen­da­rio del Popolo, pre­sti­giosa rivi­sta nata nel 1945

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment