Speculare sui precari e massacrare la scuola

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Si vedrà  oggi se il governo darà  stabilizzazione a 65mila precari della scuola (in tre anni). La notizia andrebbe accolta con favore, naturalmente. Ma c’è del marcio in Danimarca anche quando sembra il contrario. Sul piano psicologico è senz’altro un sospiro di sollievo per quei professori che da anni vivono con un incarico che inizia a settembre e termina a giugno, persone per alcune migliaia tra i quaranta e i cinquanta, spesso con figli, ancora in attesa di darsi un futuro.
La buona notizia finisce qui. Perché il resto è demagogia e bieca propaganda che serve a coprire il peggio. Intanto, perché ora? Non si poteva prevedere in un altro momento, considerando che è ancora tutto aperto il caos delle nuove graduatorie a «pettine». E poi perché solo 65mila, quando i posti vacanti nelle scuole sono molti di più? La misura è smaccatamente elettorale. Arriva una prospettiva per 65mila e rispettive famiglie, la fine delle snervanti attese in pieno agosto per la cattedra annuale. Certo, tutto vero. Ma, intanto, sono soldi che lo Stato già  paga e quindi avverrà  a costo zero, salvo poi le ricostruzioni delle carriere di ognuno che porteranno ad adeguamenti di stipendio, anche se da qui a qualche anno, forse al termine della legislatura. Inoltre, non avviene per scelta: è la conseguenza dei ricorsi vinti al Tar da precari storici a cui è stata negata la stabilizzazione.
Ma il Def, il documento di economia e finanza del governo, dà  alla scuola, in realtà , un’altra mazzata finanziaria. Dal 2012 al 2014 ci saranno riduzioni di spesa ogni anno per complessivi quattro miliardi e 561 milioni: tredici miliardi e 683 milioni il totale. Se si considera che dal 2009 al 2011 sono state già  tolte risorse all’istruzione per 8 miliardi e 13 milioni, con 87mila cattedre in meno, 42 mila posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario in meno. Un piano diabolico, determinato dell’Economia accettato supinamente dal ministro dell’Istruzione che toglie alla scuola in questa legislatura circa 22miliardi, 43mila miliardi delle vecchie lire che fa più impressione, ai tempi una manovra.
Se non si pone rimedio sarà  tragedia certa per le generazioni future. Le 65mila stabilizzazioni e basta sono giustificate dal poderoso taglio di cattedre che continuerà  ad esserci da settembre nella scuola per l’ulteriore messa a regime della catastrofica riforma Gelmini delle superiori, e il relativo innalzamento di alunni per classe, i cui effetti sulla formazione andrebbero spiegati in un apposito dossier: deprimenti, comunque.
Anche il tanto declamato sblocco del concorso per dirigenti scolastici ha in sé il sapore della beffa. Ci sono 2.368 presidi da cercare in un concorso che camminerà  da qui ai prossimi sei mesi. Per le scuole a settembre non cambierà  proprio nulla. Quest’anno ci sono stati millecinquecento presidi reggenti, ossia un dirigente scolastico dislocato su due scuole, di cui una è quella di riferimento e l’altra è quella, chiamiamola, subordinata. Immaginate come possa aver agito attivamente, pur provandoci, il preside sulla scuola cosiddetta subordinata. Il concorso andava fatto prima, molto prima, ma prima si doveva desertificare la scuola e poi, solo dopo dare un piccolo aiuto. Con i presidi reggenti lo Stato ha risparmiato 50 milioni di euro (ma il danno prodotto è molto superiore) che magari saranno andati a finanziare l’impennata dei voli di Stato, le auto blu o altri arroganti sprechi della casta. Il ritardo nel concorso fa sì che circa duecento presidi che avevano maturato il diritto alla pensione saranno congelati per un anno, così come altrettanto personale amministrativo.
Al termine di questo magnifico disinvestimento sulla scuola la percentuale di pil per l’istruzione scenderà  al di sotto del 4% per arrivare quasi al 3% con riduzioni costanti tra qualche decennio.


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