Vita da pensionata con cinquecentotrenta euro al mese

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TORINO – Il lunedì mattina, la signora Silvana Benenti, 76 anni portati a meraviglia, si alza presto, pulisce i pavimenti del suo alloggio di 59 metri e passa la cera, anche sui balconi, perché – spiega – «mi piace che tutto sia lucido». Il pomeriggio si trova con un’amica e insieme studiano sui volantini colorati le offerte della settimana del loro supermercato preferito, un Carrefour poco lontano da casa, o in alternativa il Lidl, che assomiglia di più a un discount. Quando si sentono ben preparate, prendono due vecchie borse di tela o il carrellino con le ruote e acquistano tutto ciò che è in offerta, dalla carta igienica al budino in polvere, dal tonno ai pomodori. Silvana Benenti fa parte di quel 50,8 per cento di pensionati italiani che vive con 500 euro al mese: «Per la verità  io sono un po’ più ricca – scherza lei – perché arrivo a 530, e mi è capitato perfino di toccare quota 590 una volta che c’erano dei conguagli». Tornando a casa, Silvana guarda nella buca delle lettere con un po’ di apprensione: «Di solito sono cattive notizie, l’ultima è stata la raccomandata del Comune che annunciava il rinnovo dell’affitto “a nuove condizioni”: oggi pago 135 euro al mese, da dicembre saranno un po’ di più».

Ogni 9 o 10 giorni, nella casa al terzo piano di via Pianezza, periferia nord-ovest di Torino, la signora Benenti accende la lavatrice per lenzuola e asciugamani, dopo aver lavato il resto a mano: deve essere di sabato, però, oppure dopo le 19, quando l’energia costa meno. In questo modo, e spegnendo accuratamente le luci, la bolletta dell’Enel non supera quasi mai i 40-50 euro. Ogni due martedì, è il giorno di Mimma, la parrucchiera: shampo e piega costano 9 euro, «e siccome sono fortunata e ho un bel colore bianco, basta un riflessante ogni tanto e non ho bisogno della tinta, mi restano passabili fino alla volta dopo».
Silvana conosce il prezzo di ogni cosa, fa i conti su piccoli pezzi di carta che poi butta via «per non diventare di cattivo umore». Sa, per esempio, che è meglio fare una caffettiera grande e poi conservare quello che avanza il mattino e farlo raffreddare, con un po’ di zucchero, in una bottiglietta di vetro col tappo ermetico da tenere in frigo: così, con 4 o 5 euro si va avanti per tutta la settimana e c’è qualcosa da offrire alle amiche. Sa che è più economico cucinare che consumare scatolette o cibi pronti: «Si spende meno ed è meglio per la salute. Cerco di mangiare un po’ di tutto, consumo poca frutta, 3, 4 mele e un paio di banane la settimana, il pane lo conservo in frigorifero, olio ne metto poco e burro anche. Fortunatamente, non sono mai stata golosa. I prodotti per pulire la casa li scelgo col marchio del supermercato, non è giusto pagare di più solo perché altri fanno pubblicità  in televisione che poi costa a chi compra…». Come molte donne della sua generazione, ha lavorato saltuariamente e senza quasi mai avere le “marchette”, i contributi pagati: prima nel ristorante dei genitori, nel centro di Torino, poi come cameriera «quando c’era ancora il vecchio Lingotto e in città  si faceva il Salone dell’auto. Ma ero in nero, come usava allora, un mese si lavorava, due si stava a casa e così via. A vent’anni mi sono sposata, a 25 avevo una bambina e avrei voluto dividermi, separarmi, ma i miei non mi hanno lasciata. Mio marito, che Dio lo benedica (qui Silvana si fa un rapido segno della croce, ndr) aveva un’officina meccanica, ma lavorava poco e me ne faceva di tutti i colori. Però l’ho sempre accudito fino a quando non è morto, 16 anni fa». In pochi anni, la signora Benenti è rimasta completamente sola: mamma, marito e sorella sono morti, l’unica figlia se n’è andata anche lei tragicamente.
«Non c’è nessuno che possa aiutarmi, e a me non piace chiedere, solo una volta che è arrivata una rata di riscaldamento troppo alta ho dovuto farmi prestare 50 euro da un’amica, ma li ho restituiti in tre mesi. I miei mi hanno insegnato che non si devono fare debiti, è l’anticamera della rovina». I vestiti però Silvana li prende a rate: «Sempre nello stesso negozio, da Rosy, poca roba perché non me lo posso permettere, ma cerco di restare in ordine, presentabile. Vado lì tutto l’anno, quindi pago un po’ alla volta, 20 o 30 euro. Cerco di non comprare scarpe perché molte che avevo sono ancora buone, e i mobili gli stessi di quando mi sono sposata». Per comunicare, c’è un vecchio cellulare: ricariche da 5 o 10 euro due volte al mese, e una tariffa speciale da 3 euro per poter chiamare anche i telefoni fissi. Qui, Silvana ha uno dei suoi pochi momenti di sconforto: «Ma lo sa che non riesco a imparare a fare gli sms? Costerebbe meno, lo so, sarò andata dieci volte al negozio, mi spiegano, torno a casa e già  non mi ricordo più. Accidenti!».
Niente giornali, se non, due volte al mese, un rotocalco «di quelli da un euro, con le veline, perché mi rilassa e mi distrae quando vado a dormire». Niente automobile da quando la vecchia Citroen ha smesso di funzionare, dopo 32 anni di patente: «Come pensionata con la “minima”, ho la tessera gratis per i mezzi pubblici. E meno male che c’è, così vado in centro, vedo le amiche, guardo i palazzi e i negozi. Anche le medicine, grazie al cielo, non le pago: ne prendo due, per la pressione e per la schiena, ma dal medico della mutua cerco di farmi vedere meno che posso». Il canone Rai, invece, non prevede né sconti né ticket, e fanno 109 euro all’anno: «Niente dibattiti politici per me, non li capisco. Ma non perdo un film, l’ultimo è stato ieri, “Colpo gobbo” con Jean Gabin, bellissimo». In una vetrinetta ci sono le tazzine di famiglia, quelle dorate all’interno che negli anni Cinquanta non potevano mancare in una casa perbene. “Conservare”, e conservare con cura, è un altro dei segreti per vivere con 500 euro al mese. Due volte alla settimana, Silvana Benenti va a ballare al circolo Arci del quartiere, dove si paga solo la tessera annuale e, se si vuole, qualche bibita. Se in casa si rompe qualcosa viene un vicino che sa aggiustare gratis, lei ricambia cucinando e aspettando l’idraulico mentre lui lavora. Ma quello che veramente non deve rompersi sono gli occhiali: «Vede come sono belli? Li avevo comprati da un ottico di lusso, vent’anni fa, quando mio marito e mia sorella erano ancora vivi e stavamo meglio. Finiti questi, non ne avrò mai più un paio così».

 


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