Crisi del debito. A che gioco giocano le agenzie di rating?

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C’è da chiedersi se le agenzie di rating vogliono la pelle dell’euro. Dopo aver declassato negli ultimi 18 mesi il debito pubblico dei paesi periferici della zona euro, assimilandoli in alcuni casi a junk bonds, obbligazioni spazzatura, adesso le agenzie minacciano di dichiarare il fallimento della Grecia. Per quale motivo? Per la semplice ragione che gli stati europei hanno osato pensare a una partecipazione volontaria delle istituzioni finanziarie private (banche, assicurazioni, fondi di gestione e così via) al salvataggio di questo paese. Un modo per impedire una soluzione che permetterebbe di salvare la Grecia da un fallimento che considerano, guarda caso, quasi certo.

E in questo clima di nervosismo dei mercati finanziari, le agenzie si interessano adesso all’esclusivo club degli stati a tripla A, il rating più alto (sono quattordici). E hanno annunciato che nel corso delle prossime settimane la Francia o l’Austria potrebbero perdere, sul più o meno lungo periodo, la loro tripla A che permette di finanziarsi sul mercato a più bassi tassi di interesse

Ma la zona euro non è l’unico obiettivo di questo attivismo frenetico: sullo slancio, le agenzie hanno minacciato di degradare anche Stati Uniti e Gran Bretagna. Molti economisti si chiedono quale sia l’obiettivo delle agenzie. “Se l’attività  finanziaria più sicura, il debito americano, non dovesse presentare alcun rischio, beh allora faremmo prima a cambiare il mondo”, osserva Laurence Boone, professoressa di economia alla Scuola normale superiore di Cachan (Val-de-Marne). Le agenzie di rating prendono il rischio di destabilizzare il mondo finanziario, che sarà  privato di investimenti sicuri, cosa che potrebbe favorire una nuova crisi mondiale.

Anche se le agenzie rispondono che fanno il lavoro per le quali sono pagate e che il mercato non ha bisogno di loro per farsi un’opinione, due studi provano la loro responsabilità  diretta nell’attuale instabilità  finanziaria. Le ricerche provengono dal Fondo monetario internazionale (Fmi) – studio fatto in febbraio – e da un’analisi della Banca centrale europea (Bce) pubblicata solo pochi giorni fa.

In entrambi casi la conclusione è la stessa: i declassamenti, che ratificano tanto i timori dei mercati quanto quelli che provocano, hanno un effetto diretto sugli investitori, che chiedono automaticamente dei tassi di interesse più alti per garantirsi dal rischio supplementare. Soprattutto in un mercato del debito molto integrato come quello dell’euro, questi declassamenti hanno un effetto destabilizzante sull’insieme degli altri paesi, compreso su quelli con i rating migliori. In particolare perché le loro istituzioni finanziarie possiedono titoli del debito di tutti i paesi dell’euro e di conseguenza un declassamento ha automaticamente ripercussioni anche sulla loro solvibilità .

Tuttavia le agenzie di rating sono state incapaci non solo di vedere l’avvicinarsi della crisi americana dei subprimes nel 2007, tutti prodotti dotati di una tripla A fino al giorno del loro crollo, ma anche di prevedere la crisi del debito sovrano della zona euro, come sottolinea l’Fmi. Un errore che cercano di far dimenticare con i loro continui declassamenti.

Come le anatre

Da un punto di vista storico, i dati devono far riflettere: per dieci anni le agenzie, in particolare i tre giganti del settore, Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch, hanno sistematicamente ignorato i problemi strutturali delle economie periferiche. Solo a partire dal dicembre 2009, cioè dopo che il governo greco ha riconosciuto di aver mentito sulla portata del suo debito pubblico, è cominciato il ciclo di declassamenti. All’epoca la Grecia aveva un rating A, cioè il quinto miglior valore su una scala che ne conta una ventina. Diciotto mesi dopo, il 9 maggio, Standard & Poor’s ha declassato il rating greco, seguita il 31 maggio da Fitch e il 2 giugno da Moody’s. La discesa all’inferno dell’Irlanda e del Portogallo è stata identica, anche se il loro debito si colloca subito sopra il livello speculativo.

Come le anatre selvatiche, le agenzie volano in gruppo: ogni volta declassano un paese a pochi giorni l’una dall’altra e fanno le stesse analisi. Spesso queste agenzie seguono le paure del mercato, ma talvolta le anticipano, creando delle previsioni che si autoavverano. Infatti il declassamento obbliga gli investitori a vendere per prudenza, cosa che fa scendere il valore delle obbligazioni e conferma i timori del mercato in un crollo del debito.

Mobilitando diverse decine di miliardi di euro, la zona euro e l’Fmi hanno messo la Grecia, l’Irlanda e il Portogallo al riparo di un fallimento che non vogliono per motivi politici. “Ma per le agenzie l’aiuto assicura solo la liquidità  per un anno e non la solvibilità “, spiega Boone. È per questo motivo che le agenzie stimano che la probabilità  di un fallimento della Grecia entro tre-cinque anni sia da considerare almeno “intorno al 50 per cento”. Con il rischio di destabilizzare l’intera zona euro. Ma la Commissione europea non è disposta a lasciar correre. (traduzione di Andrea De Ritis)


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