E il Carroccio ora dà  l’ultimatum “Tutte le risposte entro il 22 giugno”

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Roberto Maroni non fa un passo indietro rispetto all’uscita con cui sabato ha scosso l’esecutivo, rispetto a quel «ci vuole più coraggio» con cui è entrato in rotta di collisione col ministro dell’Economia Tremonti. E il capo del Viminale che cita l’Andreotti del ’91 è allineato e coperto, ragiona d’intesa col leader Bossi, col quale è rimasto in contatto per tutto il giorno.
La loro strategia a questo punto non è più difensiva. Il governo è segnato dalla «sberla» elettorale e oggi potrebbe essere fiaccato ancor più dal quorum nei quattro referendum. E il Carroccio gioca al rialzo. La riforma del fisco, con la tanto invocata riduzione delle tasse sulla quale Tremonti continua a resistere, è in cima alle priorità  ma sembra non bastare più. Sul tavolo di Palazzo Chigi, Bossi, Maroni e Calderoli si preparano a porre in termini stringenti anche il nodo della riforma elettorale. Lasciano intendere che una risposta dal presidente del Consiglio la pretendono «nel giro di dieci giorni». Perché è giunto il momento del coraggio, insiste il ministro dell’Interno, per dare una sterzata al governo, per fare «quello che bisogna fare». Il riordino del fisco è il primo passo, sul quale comunque il Carroccio terrà  il punto, come ha proclamato Bossi ancora ieri dal Novarese. Partita aperta e complicata. Maroni non ne fa mistero, parlando coi dirigenti di via Bellerio: «Tra me e Tremonti ci sono opinioni diverse sul grado di prudenza e di coraggio che bisogna avere. Vedremo cosa dirà  Berlusconi, che posizione prenderà ».
Ma il coraggio secondo i leghisti bisognerà  dimostrarlo anche su altro, a questo punto. In uno degli ultimi consigli dei ministri, i lumbard hanno chiesto al premier l’apertura di un confronto sulla riforma elettorale. Berlusconi in quell’occasione, insieme al ministro dell’Economia, si sarebbe detto disponibile a una correzione del “Porcellum”. «È chiaro che se ora il premier fa marcia indietro, per noi diventa un problema» gli manda a dire lo stato maggiore del Carroccio, che punta a un superamento del premio di maggioranza così congegnato. E una risposta certa la pretende prima della verifica di fine mese. Già , la verifica. «L’appuntamento per la maggioranza è il 22 giugno alla Camera» è il memorandum che da sabato va ripetendo Maroni e che suona tanto da avvertimento per un Cavaliere che – forse già  impensierito dalle notizie sul quorum referendario – ieri alle 18 è rientrato a Roma, dopo appena 24 ore a Villa Certosa.
Il quartier generale leghista invece appare preoccupato da altro, in vista dell’appuntamento di Pontida. Sulla «sacra spianata», assieme alle bandiere di Alberto da Giussano vengono preannunciate dal tam tam della base anche capannelli di contestatori. Svolta senza precedenti. Piccoli imprenditori, «vittime» delle ganasce fiscali, coltivatori in guerra sulle quote latte, insomma il ventre in subbuglio del loro elettorato. Intenzionato ora a cantarle, per nulla soddisfatto del rigorismo fiscale imboccato dal governo del quale «l’Umberto» è colonna portante. Per non dire dell’«invasione» di immigrati dal Nordafrica. Mine da disinnescare subito. Tutto ad ogni modo sembra ruotare attorno ai conti di una cassa che langue e sulla quale sia Berlusconi che Bossi ormai hanno puntato le loro mine. Tremonti non è disposto ad aprirla. La nuova uscita di ieri del ministro ha in parte confortato Palazzo Chigi, che vi ha letto una disponibilità  ad avviare la riforma del fisco e perfino una strategia possibile: cancellazione di alcune detrazioni e abbassamento delle aliquote. Sarà  vero? Il Senatur coi suoi insiste su un punto: «Se si fa una manovra da 45 miliardi, allora occorre una compensazione adeguata, la manovra correttiva e la riforma fiscale andranno fatte insieme. Berlusconi non può venire a dirci “taglio di qua, taglio di là “». E stop alle sforbiciate su comuni e imprese già  tartassati. Perché, ne è convinto Maroni, «non si potranno più chiedere sacrifici senza aiutare la crescita». Ma il pallino, ancora una volta, è nelle mani di Tremonti.

 


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