«Più forti». Letta non pensa a rimpasti

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ROMA — Cellulare acceso, ma week-end in famiglia, fuori Roma. Enrico Letta parla con Angelino Alfano, segue da vicino la scissione del Pdl, ma prende comunque due giorni di riposo. Per una valutazione politica esplicita, diversa da quelle finora espresse, attenderà la formazione dei nuovi gruppi in Parlamento.
Distanza non vuole dire che alcune valutazioni non siano già state fatte. E la prima ovviamente riguarda la forza del governo: aumenta o diminuisce? Al di là del riserbo, e del rispetto per la vita di un partito diverso dal suo, Enrico Letta lo dice apertamente, con i suoi collaboratori, da alcune settimane: «Avremo qualche alibi in meno, ma guadagneremo in velocità e compattezza». È lo stesso ragionamento che fa il ministro Kyenge, «più forza per portare avanti il programma», mentre il viceministro Fassina è convinto che ad aumentare sarà la «produttività».
A questo punto il fianco destro sembra definitivamente coperto: Alfano ha retto, Berlusconi stesso ammette che non può fare cadere il governo, le misure dell’esecutivo dovrebbero avere un’elaborazione più breve. Brunetta potrà continuare a prendersela con Saccomanni, ma condizionerà meno l’azione del governo.
Anche in tema di rimpasto alcune idee sono state già soppesate. La scomposizione dei gruppi in Parlamento potrebbe offrire ragioni di revisione della squadra di Palazzo Chigi, ma al momento il discorso «non è all’ordine del giorno». Il caso Cancellieri, è convinto Letta, non dovrebbe avere ripercussioni parlamentari: risente del dibattito precongressuale del Pd, dell’attenzione dei media, ma non sino al punto da pensare ad un sostituto dell’ex prefetto.
C’entra anche il tempo che resta a questo governo: 12 mesi ha detto Alfano, è una previsione che Letta condivide. E a Palazzo Chigi si aggiunge che per un tempo così breve l’argomento non è in cima alla lista dell’agenda del premier: se correzioni dovranno arrivare non sarà ora. Insomma uno squilibrio eventuale nella rappresentanza di alcune forze politiche potrebbe essere più che tollerato da tutti. Nella sintesi del ministro Giampiero D’Alia: «L’epoca del manuale Cencelli è finita».
Del resto Roberto Giachetti, Pd, accosta i movimenti di Berlusconi al «gioco dell’Oca», dalla fiducia alla sfiducia, avanti e indietro, un mese dopo l’altro: un accostamento che in qualche modo intende misurare l’irrilevanza del peso politico del Cavaliere. E lo stesso Epifani non può che rallegrarsi dell’epilogo nel Pdl: era stato lui stesso ad esortare Alfano a fare i gruppi autonomi. Ieri ha confermato: «Finiscono i ricatti, ora il governo potrà operare al meglio».
Resta l’incognita Renzi, del Pd che verrà, dopo l’8 dicembre. Storace scommette che cambierà tutto: «Letta dovrà arrendersi, si andrà a votare». Un’incognita non meno grande di quella sulla ripresa: il giudizio della Commissione europea sulla legge di Stabilità è stato una gelata. Le parole sugli investimenti che l’Italia perderebbe senza correzioni di bilancio quelle che hanno fatto più male a Palazzo Chigi.
Il ministro Enzo Moavero fa osservare che su ben 13 Paesi solo due, Estonia e Germania, sono stati promossi, e dunque «viene da pensare a una classe di scuola in cui tutti gli allievi sono negligenti tranne due, con il secondo però che non segue le raccomandazioni del maestro: a questo punto è arduo non avere dubbi sulla qualità del metodo di studio o del maestro stesso». E questo, forse, è oggi il primo cruccio del premier.
Marco Galluzzo


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