Il lungo viaggio della balena dopo quattro secoli dal Polo al Mediterraneo

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È partita dall’Alaska e, quindicimila chilometri dopo, è approdata sulle coste orientali del mare nostrum, dove ha fatto strabuzzare gli occhi a un gruppo di ricercatori israeliani. Che ci fa una balena grigia nel Mediterraneo? Era da più di trecento anni che non si avvistava un esemplare di questa specie dalle nostri parti come nell’Oceano Atlantico: la caccia alle balene, tra il XVII e il XVIII secolo, li aveva fatti sparire tutti. Per questo è stata enorme la sorpresa dei ricercatori israeliani dell’Immrac nel confermare quanto una serie di avvistamenti lasciava supporre da giorni: il mammifero rintracciato al largo di Herzliya era proprio uno dei diecimila esemplari di Eschrichtius robustus – il nome scientifico della balena grigia – che vive solo nell’Oceano Pacifico.
Per arrivare fino al Mediterraneo, la balena avrebbe dovuto percorrere 30 mila chilometri, passando a sud dell’Africa. Impossibile, o altamente improbabile, per una specie abituata a migrazioni lunghe al massimo la metà . Così, davanti a Aviad Scheinin dell’Immrac s’è profilata un’altra ipotesi, quella ora più accreditata dal centro di ricerca: «La balena è arrivata fino a noi seguendo una rotta nuova, quella del passaggio a nord ovest: la lingua di mare che costeggia l’Alaska e il Canada settentrionale e che sta tornando praticabile per via del progressivo scioglimento dei ghiacci. D’estate, la riduzione imponente dei ghiacci permette il transito di grosse navi. E, quindi, anche delle balene». Quello avvistato nel Mediterraneo era un esemplare di adulto lungo circa dodici metri e pesante intorno alle venti tonnellate. Il mammifero era in buone condizioni di salute, forse solo un po’ magro dopo tanto peregrinare.
La balena grigia vive per buona parte dell’anno nell’Oceano Pacifico settentrionale in prossimità  dell’Alaska, ma quando deve mettere al mondo i propri piccoli va in cerca di acque più calde e scende a sud costeggiando gli Stati Uniti per arrivare nelle coste della California o del Messico. Una migrazione di 15-16mila chilometri l’anno. Ma mai l’esemplare aveva costeggiato il Nord America per arrivare nell’Atlantico. Per tutto il secolo scorso la sua sopravvivenza è stata fortemente compromessa anche nell’Oceano Pacifico. Nel 1946, il numero di esemplari rimasti si era ridotto al punto da spingere la comunità  internazionale a sottoscrivere un trattato contro la caccia. Da allora, il numero di esemplari è cresciuto e oggi se ne contano diecimila.
Adesso è partita di nuovo la caccia alla balena grigia, ma per fotografarla. Se l’esemplare avvistato in Israele non è un’eccezione, altri possono averla seguita o la seguiranno. È dunque ipotizzabile che l’Eschrichtius robustus possa ripopolare di nuovo l’oceano. Il rovescio della medaglia è che a rendere possibile questa migrazione è lo scioglimento dei ghiacci artici in seguito al riscaldamento globale. Una seconda traccia del global warming nell’Atlantico del nord è la presenza di grandi quantità  di plancton, una situazione che non si verificava da almeno 800 mila anni. Spiega Katja Philippart della Royal Netherlands Institute of Sea Research: «L’apertura del passaggio a nord overt sta avendo implicazioni importantissime sulla salinità  e la chimica delle acque degli oceani. Per ora non possiamo dire se le conseguenze saranno sempre positive, come nel caso del ritorno di specie scomparse. Di certo stiamo assistendo a cambiamenti velocissimi, da tenere sotto controllo».


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