Nord est, qui la crisi è finita

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«Ora è finito tutto e siamo tornati a fare quello che abbiamo nel Dna: gli straordinari», continua l’imprenditore del marmo. I numeri confermano. Due anni fa quest’angolo del Belpaese sembrava in ginocchio («il nostro giro d’affari è calato dalla sera alla mattina del 20-30%», ricorda Zenatelli). Oggi è la locomotiva d’Italia. Il Pil della Nord-Est Spa è cresciuto nel 2010 del 2,1%. Più dell’Europa (1,7%) e quasi il doppio del resto della penisola. Il segreto? «Qui si lavora 36 ore su 24», scherza Andrea Tomat, numero uno di Confindustria Veneto. Girano a pieno ritmo le sofisticate macchine a controllo numerico della Zenatelli Marmi, sfornando piani doccia in granito del Sudafrica e piastrelle lucide e bianchissime da spedire in Turchia. È ripartita l’occhialeria del bellunese, faticano a tener dietro agli ordini i calzaturieri del Brenta. L’industria ha mandato in archivio gli ultimi dodici mesi con un clamoroso + 3,9%, cifre da far invidia ai “vicini” tedeschi.
Certo, il mini-boom del 2010 non ha ancora cancellato le ferite della crisi: «Abbiamo perso 50mila occupati in tre anni, 2mila solo da gennaio», snocciola Emilio Viafora, segretario generale della Cgil regionale. La disoccupazione è salita al 6%, «un’enormità  per un’area dove fino a poco tempo fa si faticavano a trovare lavoratori», dice Daniele Marini, direttore della Fondazione Nord-est.
La metamorfosi però ha dato i suoi risultati. «Abbiamo saputo cambiar pelle tutti assieme. Fondendo le imprese, facendo squadra, adattando prodotti e modelli industriali», garantisce Tomat. La vocazione all’export dell’area (il 52,9% delle aziende sopra i 10 dipendenti ha rapporti diretti con l’estero, un record in Italia) ha fatto il resto: «Appena l’economia mondiale è ripartita, Veneto, Friuli e Trentino Alto-Adige hanno allungato il passo» certifica Zeno Rotondi, responsabile ufficio studi di Unicredit e autore di un periodico studio sulle economie dei territori ricolori.
La Nord-Est spa, in effetti, è traghettata direttamente dal dialetto all’inglese: «Welcome to Green Box, please dial one…» risponde il centralino dell’omonima ditta di Piove di Sacco, specializzata in macchine di controllo termodinamico vendute in 30 Paesi in giro per il mondo. E testimonial perfetto dell’Odissea (dalle stelle alle stalle e ritorno) dell’industria locale. «Nel 2008 fatturavamo 11 milioni con il 75% delle vendite all’estero e 55 dipendenti», ricorda senza troppa nostalgia il presidente e fondatore Franco Spiandorello. Poi, questione di poche settimane a cavallo tra settembre e ottobre di quell’anno, è scoppiata la tempesta perfetta: «Ordini fermi, pagamenti sospesi, fornitori che non ritiravano la merce». Morale: il giro d’affari della Green Box è crollato nel 2009 a 7,5 milioni. «Il momento più brutto in 20 anni di lavoro», dice Spiandorello.
Che fare? Lui non s’è perso d’animo. E ha reagito, per così dire, alla veneta. «Ho chiamato i dipendenti e ho garantito che per un anno non avrei licenziato nessuno». Non solo. Ha ipotecato il suo capannone bianco («valeva 4 milioni, la banca me ne ha dati due!») e ha aperto una nuova sede commerciale negli Usa. Oggi siamo al lieto fine: «Nel 2010 abbiamo fatturato 14 milioni e non solo non ho licenziato nessuno, ma i dipendenti sono diventati 70».
Le tensioni stile Mirafiori e lo scontro capitale-lavoro, del resto, sono quasi tabù in una regione dove il 58% dei padroni d’azienda sono ex operai. «Imprese, lavoratori e società  civile qui lavorano assieme a 360 gradi», assicura Tomat. Certo le assunzioni a Piove di Sacco sono (purtroppo) un’eccezione. «Una piccola azienda con 10 persone ci pensa molte volte prima di assumerne una in più», spiega Zenatelli. Specie in una congiuntura dove il 30% dell’industria lavora ancora con ordini che non vanno oltre il mese d’orizzonte. E a fare boom per il momento sono solo i contratti atipici, lamenta Viafora. Il Veneto vanta i non ambitissimi record nazionali d’utilizzo dei voucher lavoro (oltre 2,3 milioni) e dei contratti interinali saliti del 60% nel 2010 con un boom specie tra gli ultra-quarantenni. «I contratti di molte donne sono stati convertiti dal tempo pieno al part time», salito non a caso del 13%, calcola il numero uno della Cgil di Venezia.
«Ma il vantaggio del Nord-Est è che qui il sistema è in grado davvero di fare rete», spiega Marini. Le realtà  tra i 50 e i 150 dipendenti hanno in media 274 sub-fornitori, dicono le ricerche della Fondazione, molto di più dei 240 del Nord-Ovest. Una ragnatela che in questi due anni di crisi ha fatto da paracadute ai fallimenti. «Abbiamo imparato a essere meno individualisti – conferma Zenatelli, camminando tra i giganteschi blocchi di pietra in arrivo da tutto il mondo -. Certo noi marmisti del Valpolicella rimaniamo concorrenti dei cugini della Val di Pan, qualche decina di chilometri da qui. Ma le nostre due associazioni hanno imparato a muoversi assieme per negoziare finanziamenti e incentivi. Da soli non ci ascoltava nessuno. In due è tutta un’altra cosa». La Came (cancelli elettrici) è andata incontro ai guai dei suoi piccoli fornitori finanziando l’acquisto delle loro macchine, salvandoli e fidelizzandoli in vista di una ripresa che poi in effetti è arrivata.
La drammatica crisi prima e il rimbalzo poi del Nord-Est rischiano di diventare – non sarebbe la prima volta – l’ennesimo laboratorio di innovazione sul fronte delle relazioni industriali. In grado magari di contagiare il resto del Paese. «Il dialogo sociale c’è – conferma Marini -. La Confindustria di Treviso ha firmato un patto per lo sviluppo con Cgil, Cisl e Uil». Flessibilità  e produttività  sono problemi che si affrontano fabbrica per fabbrica senza strappi, con la stessa Cgil protagonista.
«Sì, è vero. I problemi non mancano ma c’è un metodo comune nell’affrontarli – ammette Viafora -. Il vero problema adesso è che al Paese manca una politica industriale seria, in grado di sbloccare ad esempio la crisi dei grandi gruppi della zona, come Vinyls e Fincantieri. Hanno ragione gli industriali di Treviso a marciare chiedendo più attenzione al governo sui problemi reali del Paese». La Confindustria è d’accordo: «Il 2011 è partito a ritmo un po’ più lento dello scorso anno – dice Tomat -. Dobbiamo lavorare per consolidare la ripresa e, in attesa di una ripresa dell’occupazione, la priorità  ora è tenere attivi gli ammortizzatori sociali e garantire, attraverso i Confidi, la liquidità  alle aziende». Imprenditori e sindacalisti rossi a braccetto. Un altro piccolo grande miracolo della Nord-Est Spa ritornato (in tutti i sensi) locomotiva d’Italia.


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