Obama: “Basta sgravi fiscali ai ricchi”

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NEW YORK – Per risolvere il problema del debito e rilanciare l’economia Barack Obama vuole mettere le mani nelle tasche degli americani. Ma non «delle famiglie della classe media che arranca». Piuttosto «della gente che sta straordinariamente bene: milionari e miliardari, compagnie petrolifere, proprietari di jet». A questi, dice, non possiamo più concedere i tagli alle tasse che i repubblicani vogliono garantire. L’intesa va trovata: ma l’approccio dev’essere “bilanciato”.
E’ proprio la bilancia a non tenere più. Il tetto dei 14mila miliardi di debito è stato già  raggiunto e un accordo per l’innalzamento va chiuso entro il 2 agosto. Sugli Usa gravano le minacce di declassamento delle agenzie di rating. Ma a ricordarlo è perfino il Fondo monetario che ieri ha spinto il Congresso a innalzare il limite: ricordando che un fallimento produrrà  l’innalzamento degli interessi e «un duro shock per l’economia e le finanze di tutto il mondo».
Barack conferma: «Se il governo, per la prima volta, non potrà  pagare le sue bollette, le conseguenze saranno significative e imprevedibili». Figuriamoci. Anche il segretario al Tesoro, Tim Geithner, scrive al Congresso ricordando che perfino quel Ronald Reagan idolatrato dai paladini della responsabilità  fiscale chiese l’aumento del tetto. Ma qui non c’è da combattere solo con Mitch McConnell, il capo dell’opposizione al Senato, che pure dice cose che possono avere senso: «Come si possono alzare le tasse per risollevare l’occupazione? Come si fa a proporre più spesa per risolvere la crisi del debito?». No, qui Obama se la deve vedere con gente come Michele Bachmann, la repubblicana più avanti nei sondaggi tra i suoi sfidanti: per lei, l’ultimatum del 2 agosto è solo una scusa per strappare un accordo.
E’ spazientito, Barack: «Io sono il presidente degli Stati Uniti» dice «e non devo ricorrere a queste tattiche». Minaccia: «Se non trovate un accordo entro fine settimana, non si va a casa». E nella conferenza stampa che va in diretta tv addita a esempio addirittura le figlie: «Sasha e Malia i compiti li fanno sempre il giorno prima: non si riducono alla notte». Ce n’è anche per il suo partito: «Bisogna fare scelte dure», bisogna toccare certi diritti acquisti senza avere timore di ripercussioni elettorali. Ma l’accordo è un dovere: «Io sono qui, l’Afghanistan, Bin Laden e la crisi greca, io sono sempre qui al mio posto: perché non dovreste farlo anche voi?».
E’ l’Obama che attacca: quello dalla parte della gente, contro gli insabbiatori di Washington. Ma è anche molto realistico. Fin quasi a sconfessare le critiche dell’Agenzia del lavoro alla Boeing. Stanca degli scioperi di Seattle, il colosso vuole trasferire in South Carolina la fabbrica del Dreamliner, il vettore a cui collabora anche Finmeccanica. «Le compagnie» dice Barack «dovrebbero essere libere di costruire le fabbriche dove vogliono». Sorpresi? Contro l’agenzia federale, qualche ora prima aveva arringato gli elettori del South Carolina sempre lei, Michele Bachmann. Che evidentemente Barack comincia a temere quasi quanto il suo deficit miliardario.


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