Sui redditi più alti fisco meno pesante

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ROMA – Tre aliquote, più basse, senza buchi di bilancio. Un’equazione di difficile risoluzione quella che Silvio Berlusconi, sulla scia dello schema tremontista a tre aliquote, ha sposato ieri. Non più le due aliquote annunciate nel 2001 a Porta a porta (23 e 33 sopra i 100 mila euro), ma la terna uscita dal Libro Bianco del 1994 ai primordi della rivolta fiscale del centrodestra.
Con un problema: il costo. Che andrebbe dagli 11 ai 24 miliardi, se si vuole abbandonare il sistema attuale a cinque aliquote e scegliere la nuova strada a tre soglie. Come funzionerà ? In base alle simulazioni che girano nelle ultime ore si starebbe ragionando su una ipotesi di minima che si articolerebbe sul 20 per cento fino a 15 mila euro (oggi è il 23%), sul 30 tra i 15 e i 55 mila euro (si accorperebbero di fatto le due aliquote attuali del 27 e del 38%) e infine si darebbe una sforbiciata molto forte ai redditi più alti: oltre i 55 mila euro lordi si pagherebbe solo il 40 per cento (mentre oggi si paga il 43 oltre i 75 mila). Una griglia che potrebbe essere modificata con una seconda ipotesi che porterebbe a fino 28 mila euro la soglia entro la quale si paga il 20 per cento: ma in questo caso il costo salirebbe intorno ai 24 miliardi.
Dove trovare i soldi? Le ipotesi sono quattro. Un punto in più di Iva (9 miliardi), lotta all’evasione (da cifrare), tagli alla spesa (ma ci sono già  oltre 40 miliardi da trovare per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014), sfrondamento delle agevolazioni (in tutto 11 miliardi, ma tolte quelle per carichi familiari e lavoro dipendente restano detrazioni e deduzioni per qualche decina di miliardi assai difficili da eliminare). Tutte ipotesi che potrebbero soddisfare le richieste dell’Europa, e ieri anche dell’agenzia di rating Fitch, di non tagliare le tasse in deficit.
Se questo è il rebus del fisco, quello della manovra è ancora più complesso. La caccia ai 40 miliardi è aperta, ma nel frattempo cresce la necessità  di risorse. Come per la revisione del patto di stabilità  per i comuni virtuosi, annunciata ieri da Berlusconi: un prezzo pagato alla Lega. Sostanzialmente, oggi, i Comuni che hanno residui attivi di bilancio, fenomeno che accade nei primi mesi dell’anno per quasi tutti i 2.417 municipi soggetti al patto interno, non possono spenderli. I loro «tesoretti» sono legati dal rispetto della regola in base alla quale i sindaci non possono firmare assegni per una cifra che superi la somma di spesa corrente e investimenti del triennio precedente. Ora il patto sarà  probabilmente allentato, ma si parla di un costo di 2 miliardi per un ammorbidimento del solo 10 per cento.
Per il resto i tecnici lavorano sul menù tradizionale: sanità  (5-6 miliardi), pubblico impiego (1,5), pensioni delle donne (4-6 miliardi), sforbiciata agli enti (2 miliardi). Oltre ai costi della politica (portati alla media europea) e alla ricerca di tagli chirurgici e selettivi.


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