Debito Usa, si apre uno spiraglio i repubblicani: eviteremo il default

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New York – Sull’orlo del “default” sovrano, che può propagare ondate di sfiducia sui mercati mondiali e precipitare l’America in una nuova recessione, è la destra a chiamare in extremis Barack Obama e ad aprire uno spiraglio di speranza: «Il presidente Obama torni al tavolo del negoziato, è lui l’unica persona che può promulgare le leggi». A due giorni dalla data fatidica in cui il Tesoro può essere costretto a interrompere i pagamenti e a sospendere i rimborsi di titoli pubblici, qualcosa sembra muoversi dopo settimane di stallo. Si presentano davanti alle telecamere John Boehner, presidente della Camera dove i repubblicani sono in maggioranza, e il capogruppo della destra al Senato Mitch McConnell. E’ quest’ultimo a dare una notizia inedita: «Sono impegnato a fondo in un dialogo con Obama, ci sentiamo al telefono. Non ci sarà  il primo default nella storia degli Stati Uniti d’America». Se i mercati fossero aperti, saluterebbero probabilmente con un sospiro di sollievo questo segnale di apertura. L’annuncio che è ripreso un dialogo dietro le quinte fra i notabili della destra e la Casa Bianca arriva alle 16 a Washington (le 22 in Italia) e fa dire a McConnell che «siamo alla fine della sciarada» E’ un’apertura sincera o un’altra trappola? Fino a quel momento nulla faceva presagire che il disastro sarebbe stato evitato. L’America continuava a procedere come «un treno senza pilota che corre a deragliare e a schiantarsi, filmato al rallentatore». Obama nel suo discorso radiofonico alla nazione, pre-registrato, aveva espresso questo giudizio severo: «Se perdiamo la tripla A che è il rating massimo nel giudizio dei mercati, non è per colpa della nostra economia. E’ il sistema politico americano che non merita la tripla A». Lo stesso Obama aveva chiuso quel discorso con un nuovo appello alle parti: «Il Congresso mi mandi un piano che io possa firmare, devo averlo sul mio tavolo entro martedì mattina». Dal mondo intero, un coro di appelli angosciati si univa al presidente. In prima fila la Cina, massimo creditore estero degli Stati Uniti con oltre 1.200 miliardi di buoni del Tesoro Usa: «La parte più brutta di questa vicenda – ha lanciato l’agenzia governativa Xinhua da Pechino – è che anche altri paesi si trovano nella zona d’impatto quando si combattono l’elefante e l’asino (i due simboli del partito repubblicano e democratico, ndr)». La paura è mondiale per le ripercussioni sulla stabilità  finanziaria: i Treasury bond e Treasury bill Usa sono titoli universalmente detenuti da investitori istituzionali e individuali, da banche centrali e banche commerciali, qualsiasi turbativa nella loro emissione e circolazione può avere un effetto-shock sulla fiducia. Il conto alla rovescia ha già  contribuito a frenare l’economia americana: ormai è verosimile il pericolo di una ricaduta nella recessione, e anche questo avrebbe dei costi pesanti per il resto del mondo. Moody’s preparandosi al peggio ha messo sotto osservazione il rating non solo degli Stati Uniti ma di 177 enti pubblici che emettono obbligazioni (municipalità , agenzie federali). Lo Stato della California ha dovuto chiedere 5 miliardi di prestiti alle banche per fare incetta di liquidità  e premunirsi da un blocco dei finanziamenti federali. In questo suspense degno di un thriller, fino a sabato mattina il Congresso aveva continuato nel suo gioco al massacro. Occhio per occhio, dente per dente. Il piano della destra votato dalla Camera era stato bocciato dal Senato, quello della sinistra votato al Senato ha fatto la stessa fine alla Camera. Il punto del contendere? Per i repubblicani è inaccettabile che nel piano del Senato siano inclusi «mille miliardi di dollari per la fine delle guerre in Iraq e Afghanistan»: il bilancio militare non si tocca, insieme con «niente nuove tasse» è uno dei dogmi della destra. Eppure il piano democratico faceva concessioni sostanziali alla destra: nessun aumento d’imposte, il grosso del risanamento dei conti pubblici pesa sul Welfare. Obama ha confermato: «Non c’è una distanza immensa tra i due partiti, ormai». Gli ha fatto eco lo Speaker della Camera John Boehner: «Siamo fiduciosi che l’accordo ci sarà ». E’ lui l’interlocutore più fragile, però. Il suo piano per ridurre il deficit è una proroga di pochi mesi, che costringerebbe a riaprire il contenzioso sul debito in piena campagna elettorale nel 2012. Inaccettabile per la Casa Bianca, il piano Boehner ha subìto l’umiliazione di 22 “no” dalla frangia destra del suo stesso partito.


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