Il vento è cambiato ma sull’Expo tira sempre la solita brutta aria

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A Milano il vento è cambiato però è chiaro che qualcuno, o qualcosa, sta remando nella direzione opposta. Chiamiamole forze contrarie. Alcune sono enormi, i cosiddetti poteri forti, altre piccine ma insidiose, come quella parte del Pd che sta giocando a guastare la festa al sindaco Pisapia. Due brutti segnali che, pur nella loro differenza, sono all’ordine del giorno a Palazzo Marino, dove si comincia a fare politica sul serio dopo la luna di miele con i cittadini che sembrava infinita. Veniamo al dunque e cominciamo con l’Expo.
Ieri Comune di Milano, Regione Lombardia (Formigoni) e Provincia di Milano hanno firmato l’accordo di programma per le aree di Expo 2015: in sostanza è identico a quello di Letizia Moratti. Un’altra Expo era possibile? Evidentemente no. Se Pisapia si fosse messo di traverso, Milano non avrebbe più potuto ospitare l’esposizione universale. Lo ha spiegato il sindaco stesso: «Abbiamo raggiunto il primo obiettivo: abbiamo evitato che da parte del Bie ci fossero misure gravi, addirittura la revoca dell’assegnazione dell’Expo alla nostra città . In questo modo potranno partire i lavori entro ottobre, perché il nostro impegno è realizzare un’Expo diffusa, che aiuti lo sviluppo sociale, culturale ed economico di Milano e dell’intero paese».
L’enorme area destinata ad ospitare l’Expo è stata riconvertita da agricola ad edificabile e quindi acquistata ai privati a un prezzo decisamente superiore al suo valore originario (la nuova società  a capitale pubblico si chiama Arexpo). Su quei terreni non ci sarà  nessun orto botanico o parco agroalimentare, come era previsto nel masterplan originale progettato dall’assessore Stefano Boeri, che ha perso la sua partita per un’Expo eco-sostenibile (infatti non apre bocca). Quindi, nonostante i cittadini abbiano espresso un parere contrario votando Sì a uno specifico referendum solo poche settimane fa, sui campi dell’Expo – come ha scritto ieri Carlo Petrini su la Repubblica – probabilmente «nascerà  solo cemento». Resta da capire quale. E su questo punto si aprirà  un’altra partita. Da una parte ci sarà  chi, come Pisapia, punterà  sulla realizzazione di opere di utilità  pubblica e dall’altra chi, come Formigoni, il vero vincitore di questa partita, cercherà  di favorire la costruzione – e i costruttori – di case, tra cui gli stessi che possedevano le aree. Pisapia, affinché il Comune di Milano abbia maggior peso nelle trattative, adesso chiede che le quote di Arexpo siano ripartite equamente tra i vari enti pubblici. Ma difficilmente Formigoni sarà  disposto a perdere terreno. Se il sindaco di Milano spiega che dopo l’Expo su quei terreni potrebbe sorgere una nuova sede Rai, il governatore della Lombardia già  frena dicendo «non necessariamente», perché lui pensa a «un quartiere residenziale».
Poteva fare di più Super Pisapia contro tutti? Probabilmente no. Però in queste ore è scoppiata anche una grana più piccola, e qui il discorso si fa diverso. Mirko Mazzali, consigliere in quota a Sel, e storico avvocato dei centri sociali con la testa molto sulle spalle, era stato proposto come nuovo presidente della Commissione sicurezza, ruolo delicato nella città  che fu di De Corato. Ma ieri ha gettato la spugna, perché apertamente osteggiato dalla consigliera del Pd Carmela Rozza, che per mettergli i bastoni tra le ruote si è autoassegnata per quella stessa commissione portando con sé alcuni fedelissimi del Pd. Mazzali sarebbe stato ostacolato su tutta la linea e per questo si è sfilato polemicamente. La Rozza, per intenderci, ha fatto «carriera» tra gli abitanti delle case popolari perché inneggiava alla cacciata di rom e abusivi. Anche se in questo caso non ci sono in ballo miliardi di euro, la questione sicurezza a Milano è altrettanto importante per capire se il vento è cambiato. Per questo sarebbe meglio parlarne apertamente, prima che le guerricciole di palazzo sfianchino la straordinaria partecipazione che ha portato Giuliano a Palazzo Marino.


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