Israele, minority report

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Una situazione ben oltre i limiti della civiltà  giuridica e del rispetto dei diritti umani. In quella che ama definirsi ”l’unica democrazia del Medio Oriente”. Una situazione eccezionale? Assolutamente no. Due anni fa, il cielo si Ramallah si riempì di palloncini colorati. Migliaia di palloncini. Rossi, verdi, bianchi e neri, i colori della bandiera palestinese. L’iniziativa, organizzata dalle famiglie dei detenuti palestinesi, era dedicata ai minorenni rinchiusi nelle carceri israeliane.

Su ogni palloncino era stato scritto il nome di un piccolo detenuto. Secondo le stime della sezione palestinese di Defence for Children International (Dci), organizzazione per la difesa dei diritti dei minori, sono almeno 355 i minori palestinesi, tra cui alcuni poco più che bambini, detenuti attualmente nelle carceri israeliane.

Dall’inizio della Seconda intifada, nel settembre 2000, sono circa 7800 i minorenni arrestati dalle autorità  israeliane e detenuti per vari periodi di tempo. Il numero ammonta a decine di migliaia se si considera l’intero periodo dall’occupazione del 1967 e costituisce il 3,6 percento del totale di detenuti politici palestinesi. “Il futuro di questi ragazzini è a rischio – scrive la Dci – ed è condizionato dalle torture e dai trattamenti degradanti subiti. (…) I piccoli sono soggetti ad abusi sistematici e a privazioni continue dei loro diritti di base, tra cui il diritto a ricevere cure mediche per le loro infermità “.

Per il Centro Palestinese per la Difesa dei Detenuti, sono almeno 423 i minorenni palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, “in condizioni difficili, dal punto di vista fisico e psicologico”. Secondo il centro, 231 dei ragazzi incarcerati ha subito un processo mentre 182 sono ancora in stato di detenzione preventiva. Di questi, dieci sono soggetti a detenzione amministrativa senza che venga formulata contro di loro alcuna accusa, senza processo, senza possibilità  di difendersi, per un periodo di sei mesi che può essere prorogato a discrezione delle autorità  militari. Il rapporto denuncia “le continue pressioni psicologiche e in alcuni casi molestie fisiche” che i giovani subiscono da parte delle guardie carcerarie – non esistendo allo stato attuale procedure differenziate per il trattamento dei minori, durante la cattura, negli interrogatori e nella detenzione – senza che nessuna autorità  si preoccupi di sanzionare i comportamenti criminosi e lesivi dei diritti umani dei prigionieri. Secondo il documento, inoltre, ”in una cella di quattro metri quadrati sono stipati in media otto o dieci minori palestinesi”.

Non che la situazione degli adulti sia migliore. Il 12 luglio scorso, tra gli applausi dei partecipanti alla Israeli presidential conference, il primo ministro israeliano Benjamin Netaniahu ha annunciato che le condizioni, già  eccezionalmente dure cui sono sottoposti i prigionieri palestinesi saranno rese ancora più rigide. ”La festa è finita, ha detto. Non ci saranno più maestri e dottori del terrore”, ha dichiarato. Oggi ci sono circa 5.400 detenuti palestinesi nelle prigioni israeliane, che nel corso degli anni ne hanno purtroppo ospitati centinaia di migliaia di altri. Solo una minoranza di loro sono stati condannati per omicidio.

Poco tempo fa un rapporto pubblicato da B’Tselem e dal Centro Hamoked per la difesa dell’individuo, ha rivelato le sconvolgenti condizioni in cui si vive nel centro di detenzione dei servizi di sicurezza israeliani di Petah Tikva.
I detenuti del carcere di sicurezza dello Shin Bet, il servizio segreto militare israeliano, sono tenuti in isolamento in celle delle dimensioni di un materasso, in condizioni igieniche insopportabili, con la luce sempre accesa e continuamente privati del sonno. Dati pesanti come pietre, per una democrazia.


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