Legati con lo scotch e sedati. Il lato nascosto delle espulsioni

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ROMA – Lo scotch serve a immobilizzare i reclusi. Basta girarlo più volte e ben stretto intorno ai polsi e alle gambe. E quando strillano pure sulla bocca. L’iniezione invece si fa alle ragazze sempre se oppongono resistenza. Infine le lamette, da rasoio. Quelle le usano uomini e donne. Ma serve tanta disperazione quanto coraggio. O ti ci tagli le vene o le ingoi. E se ti va bene che resti in vita, finisci al pronto soccorso da dove anche se non riesci a scappare, puoi comunque considerarti fortunato che non ti hanno rimpatriato. Parola dei detenuti del centro di identificazione e espulsione (Cie) di Ponte Galeria, a Roma. Li abbiamo raggiunti telefonicamente e ci siamo fatti raccontare come funzionano le espulsioni.

L’ultima volta sono entrati una settimana fa. Alle sei del mattino. Una ventina di agenti in tutto, tra quelli in divisa e quelli in borghese. Ridha dormiva ancora, sotto gli effetti degli psicofarmaci che prendeva ogni sera per scacciare i cattivi pensieri. Era arrivato a Lampedusa un paio di mesi prima. E dell’Italia aveva visto soltanto le gabbie. Prima quella del centro di accoglienza di Lampedusa, poi quella del Cie romano. Ha aperto gli occhi soltanto dopo che lo hanno alzato di peso dal materasso, tirandolo su per le braccia.

L’hanno portato via così, nonostante le proteste. “In pantaloncini corti e a torso nudo”. Tanto una maglietta si recupera sempre dal magazzino. “Non l’hanno nemmeno lasciato andare in bagno per sciacquarsi il viso e fare i suoi bisogni”. Il resto della scena i suoi compagni di cella l’hanno vista dalle finestre, nel cortile. “L’hanno legato come un pollo perché opponeva resistenza”. Una corda alle gambe e una ai polsi, con le braccia piegate dietro la schiena. E per non farlo gridare, gli hanno stretto una fascia sulla bocca e l’hanno portato via in quelle condizioni.

Funziona così al Cie di Roma, e non solo. La destinazione è a pochi chilometri. Aeroporto di Fiumicino. I voli sono quelli di linea, prima fanno salire i passeggeri e poi all’ultimo minuto monta la polizia con i reclusi da espellere. Quel giorno erano in 20. Tutti tunisini. Destinazione Palermo, per le operazioni di identificazione che svolge abitualmente il Consolato tunisino, direttamente in aeroporto. E da lì il volo per Tunisi su un charter. Non sempre però il rimpatrio va a buon fine. Nelle ultime due settimane, proteste e episodi di autolesionismo hanno fatto saltare almeno una decina di espulsioni programmate. Gli ultimi due nigeriani, un ragazzo e una ragazza, erano già  saliti sull’aereo per Lagos, quando a bordo è scoppiata la protesta.

È successo tutto il pomeriggio del 19 luglio. Il ragazzo sono andati a prenderlo in cella di notte. Sono entrati in una decina di poliziotti e l’hanno immobilizzato con del nastro adesivo. La ragazza invece non ha opposto resistenza. Ma ha dovuto insistere perché non le facessero la “puntura”, come la chiamano le altre compagne di cella. Arrivati all’aeroporto di Fiumicino, il ragazzo ha di nuovo opposto resistenza. Ciononostante l’hanno caricato di forza sull’aereo ma lui ha continuato a divincolarsi anche a bordo del volo di linea. Fin quando – così ci raccontano – anche i passeggeri sarebbero intervenuti protestando per le violenze a bordo. Tutto annullato dunque. E così li hanno riportati a Ponte Galeria. Lui ha una benda sulla faccia. Sarebbe stato picchiato sia a bordo dell’aereo che dopo. La ragazza è sotto shock. E sotto shock sono anche le sue compagne di cella. Soprattutto la marocchina. (gdg)

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