Obama si prepara al default e vara il piano d’emergenza
New York – «Priorità agli investitori che hanno titoli pubblici americani», è l’annuncio del Tesoro Usa. Saranno i proprietari dei Treasury Bond, dalla banca centrale cinese ai fondi pensione, gli ultimi a soffrire per l’esaurimento dei fondi. Prima cesseranno i pagamenti delle pensioni e degli stipendi pubblici: è questo il piano d’emergenza divulgato ieri sera a Washington, in pieno stallo legislativo sul debito federale, mentre l’Amministrazione Obama comincia a prepararsi fattivamente per lo scenario peggiore.
L’annuncio che gli ultimi fondi in cassa serviranno a pagare le cedole sui titoli sembra la risposta al pressing di Wall Street: proprio ieri infatti i chief executive delle 14 maggiori banche americane, da JP Morgan Chase a Goldman Sachs, hanno firmato un appello collettivo. I banchieri si rivolgono al presidente e al Congresso per chiedere un accordo che alzi il tetto del debito «in questa settimana» ed evitare un default tecnico che avrebbe «un impatto grave, peggiorando una situazione economica già difficile».
Che il Tesoro abbia raccolto quell’appello, dando la precedenza ai banchieri Jamie Dimon e Lloyd Blankfein sui milioni di pensionati che rischiano di perdere l’assegno mensile, non fa che aggiungere al disappunto dei progressisti: su Politico.com Glenn Thrush parla della “estate dello scontento” per la sinistra americana. Lo stallo sul debito infatti è già per molti aspetti una vittoria della destra: Obama e il partito democratico accettano il principio che il Welfare va ridimensionato, sono costretti a una battaglia in difesa per cercare di limitare la durezza dei tagli alle spese sociali rispetto alle richieste dei repubblicani. E ieri i sondaggi hanno confermato la debolezza di Obama, è scesa al 41% la quota degli elettori che lo confermerebbe alla Casa Bianca, se si votasse oggi. Pesa su di lui anche l’immagine d’impotenza a cui lo ha costretto la destra. Ieri la Casa Bianca è tornata a dire che «gli americani vogliono un compromesso bipartisan, questa diatriba sul debito ha già avuto un notevole impatto negativo sull’economia». Ma sono appelli che cadono nel vuoto. Alla Camera, dove i repubblicani hanno la maggioranza, continua il gioco che consiste nell’usare la legge del 1917 sul limite legale del debito pubblico (solo il Congresso può rialzarlo una volta che è stato esaurito) per operare un ricatto senza precedenti sul presidente: né Ronald Reagan né i Bush padre e figlio ebbero mai alcuna difficoltà ad alzare ripetutamente il tetto del debito.
John Boehner, presidente della Camera e leader della maggioranza di destra, ha avviato ieri sera l’approvazione del suo piano: “solo” mille miliardi di tagli in dieci anni, non un centesimo di tasse in più, e un’autorizzazione all’indebitamento che basterebbe appena ad arrivare alla fine di quest’anno. «Inaccettabile, il presidente metterebbe il suo veto», ha ribadito la Casa Bianca, spiegando che «così si riaprirebbe la battaglia sotto Natale, gettando l’economia nell’incertezza a fine anno». E soprattutto trasformando l’elezione presidenziale del 2012 in un referendum anti-tasse, è questo il calcolo della destra. Il Senato, dove invece sono i democratici in maggioranza, deciderà oggi il da farsi: può bocciare subito il piano-Boehner e votare il suo, che piace a Obama, oppure può tentare di cucinare un nuovo testo di compromesso coi senatori repubblicani, un po’ meno intransigenti dei loro colleghi deputati. Non potrà essere un pasticcio qualsiasi: ieri Standard & Poor’s ha confermato che gli Stati Uniti rischiano di subire un declassamento del loro rating sovrano anche se la crisi del debito si risolve, ma con tagli insufficienti.
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