Pià±era crolla nei sondaggi

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 Di certo l’inattesa assoluzione, ieri a Roma, del torturatore cileno Alfonso Podlech avrà  fatto piacere a Sebastià¡n Pià±era, il miliardario e destrorso presidente del Cile. Gli avrà  tolto se non altro un po’ della pressione che non avrebbero mancato di esercitare gli ambienti militari.

Ma se la storia di Podlech è finita bene per lui (e male per l’umanità ), il resto gli sta andando, tutto o quasi, storto. Il rame, con lo sciopero, ieri, il primo in 18 anni, di tutte le miniere della Codelco, la grande compagnia mineraria statale; gli studenti delle secondarie e delle università  che da un mese non gli danno tregua e inondano le strade senza che la nota brutalità  dei carabineros riesca a fermarli; l’imminente ricorso al Comitato inter-americano per i diritti umani dei 4 «prigionieri politici» mapuche, reduci da 86 giorni di (inascoltato) sciopero della fame, condannati a pene grottesche sulla base della Ley anti-terrorista di Pinochet (tuttora in pieno vigore); la prossima apertura davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja, a cui nel 2008 il Perù ha trascinato il Cile, del contenzioso sulle frontiere marittime che Lima rivendica e Santiago nega.
Un quadro sconfortante per il primo presidente della vecchia-nuova destra cilena a (ri)entrare, l’11 marzo 2010, nel palazzo della Moneda dopo l’uscita di Pinochet nel ’90 e dopo 4 mandati del centro-sinistra. Il più recente sondaggio, la settimana scorsa, lo accreditano di un miserrimo 35% di gradimento, l’indice più basso di qualsiasi altro presidente in democrazia.
Il fatto è che, nonostante i forti e persistenti indici di crescita del Cile e tutta la «modernità » vantata dal miliardario presidente, Pià±era non ha toccato nulla della struttura liberista gettata da Pinochet (e quasi per nulla scalfita nei 20 anni di governi democristian-socialisti) che ha fatto del Cile un aggressivo «giaguaro» ma anche un paese che, se ha ridotto la povertà  assoluta, resta uno dei più strutturali produttori di diseguaglianze economiche e sociali.
Ieri la Federazione dei trabajadores del cobre ha paralizzato («al 100%, dice il suo leader Raymundo Espinoza) tutte le miniere della Codelco, con uno sciopero di 24 ore (ma pronto a essere allungato «a tempo indefinito») che ha prodotto in un solo giorno un danno di 40 milioni di dollari: un «segnale di avvertimento contro i tentativi del governo di portare avanti la privatizzazione occulta dell’impresa», la più importante del Cile (maggior esportatore di rame del mondo) che neanche la furia privatizzatrice di Pinochet si azzardò a toccare, e la maggior produttrice mondiale di «oro rosso». Un altro leader sindacale, Cristian Cuevas, ha ricordato che l’anno passato questa «privatizzazione occulta» ha fruttato «34 miliardi di dollari ai privati, il 79% del bilancio del paese», risorse che devono essere «recuperate per il popolo del Cile».
Risorse che potrebbero e dovrebbero essere destinate ad esempio all’istruzione, come chiedono da un mese studenti e insegnanti delle secondarie e delle università . L’istruzione è un altro esempio di come vede il Cile Pià±era: lo stesso Cile di Pinochet che, bisogna ripeterlo, il centro-sinistra (neanche l’ottima Michelle Bachelet, ultimo presidente della Concertacià³n) ebbe le forza o la voglia di cambiare. Istruzione privatizzata o municipalizzata, qualità  scadente, salari bassi, università  pubbliche e private a pagamento (in media 400-800 dollari mensili) e con «fini di lucro». Da un mese gli studenti sono scesi in strada con marce e proteste per chiedere «una istruzione pubblica, gratuita e di qualità ». Il 30 giugno hanno sfilato in 200 mila per Santiago, «una delle maggiori proteste nei tempi della democrazia». Pià±era ha praticamente licenziato il ministro dell’istruzione Lavà­n (storico ultrà  pinochettista) e annunciato un «Gran acuerdo nacional por la educacià³n» da 4 miliardi di dollari. Ma si è detto contrario a «statizzare il nostro sistema educativo perché sono a favore della qualità  dell’insegnamento». Chiaro. Gli studenti hanno respinto il piano e annunciato un nuovo «paro nacional» per venerdì.

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IL VOTO A BUENOS AIRES
Vince il nemico di Cristina

 

Come previsto dai sondaggi si andrà  al ballottaggio. Ma per la presidenta Cristina Kirchner il risultato del voto di domenica per l’elezione del sindaco di Buenos Aires, il risultato non è stato buono e getta qualche ombra sulle presidenziali del 23 ottobre in cui presenta di nuovo candidata, e favorita. Il governatore (sindaco) uscente, il miliardario di destra Mauricio Macri, si appresta a vincere a un secondo mandato alla guida della capitale dopo che il voto di domenica gli ha conferito un ampio distacco rispetto al senatore Daniel Filmus, sostenuto dalla presidente peronista di centro-sinistra. Macri e Filmus andranno al ballottaggio (in programma il 31 luglio), così come nel 2007, quando Macri vinse. Scrutinati quasi il 60% dei voti, Macri – figlio dell’ imprenditore Franco Macri, uno degli uomini d’affari più noti e controversi dell’Argentina – ha avuto il 46,5% e Filmus il 28,5% delle preferenze, sui 2,5 milioni di elettori bonaerensi.


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