Se anche i bambini capiscono la filosofia

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Giada, tre anni, poco più, disegna la sua ombra a terra in posizione rovesciata, con gli stessi dettagli essenziali e le stesse proporzioni di lei «vera» . Così piccola, già  intuisce le leggi della prospettiva e riesce ad elaborare un’idea dell’ombra come il doppio di se stessa. Una testimonianza raccolta dalla psicologa Tilde Giani Gallino che ben rende quella rivoluzione culturale degli ultimi decenni che ha fatto scoprire i bambini «veri» , quegli stessi che solo vent’anni prima erano ritenuti irrazionali e capaci soltanto di pensieri concreti, immediati e limitati. Ci si è (finalmente) accorti che quell’infanzia è estremamente fantasiosa, ma riesce anche a elaborare concetti filosofici e pensieri astratti. Chi sta mandando in soffitta Jean Piaget e le sue idee riduttive sul mondo infantile, idee che peraltro hanno dominato per mezzo secolo (il bambino è un adulto imperfetto) è una nuova corrente di pensiero che annovera, fra i suoi sostenitori, psicologi, neuroscienziati, pediatri, filosofi, di qua e di là  dall’Atlantico. Gente che ha osservato per ore e ore i bambini sotto i cinque anni di vita nel loro ambiente abituale, la casa e l’asilo, senza pregiudizi e idee preformate.
È il caso di Alison Gopnik, psicologa dell’università  della California a Berkeley, che ha dedicato anni allo studio dell’apprendimento infantile arrivando a conclusioni raccolte adesso in un libro, Il bambino filosofo, appena uscito in Italia per Bollati Boringhieri. Un lungo percorso che le permette di affermare: «Esiste una divisione di compiti dovuta all’evoluzione tra bambini e adulti. I primi irrealisti e per nulla pragmatici, occupano il dipartimento di ricerca e sviluppo della specie umana; praticamente, il reparto genio e sregolatezza. Noi adulti siamo la p r o d u z i o n e e i l marketing. A loro si devono le scoperte, a noi l’implementazione. A loro vengono un milione di idee nuove; noi ne scegliamo tre o quattro, e le mettiamo in pratica» .
Le tecniche più recenti di neuroimaging hanno fornito una spiegazione scientifica (interessante soprattutto per i neuroscienziati): il cervello dei bambini è più ricco di connessioni di quello degli adulti e i percorsi neurali disponibili, ovvero le connessioni fra le cellule nervose, sono più numerosi («la sua mappa ricorda una città  vecchia come Parigi, piena di stradine interconnesse» esemplifica la Gopnik). Quando cresciamo il cervello sfronda i percorsi meno battuti e ne rinforza altri che diventano più efficienti. Sta di fatto che i bambini mostrano un’irrefrenabile voglia di «far finta» , inventando continuamente mondi immaginari; una finzione di cui sono ben consapevoli, secondo la psicologa americana, come sono altrettanto convinti che il mondo reale non sia il più importante. La loro immaginazione persegue percorsi logici, pari a quelli di un adulto, ma diversi. Come spiega Tilde Giani Galino, professore di psicologia dello sviluppo all’università  di Torino, autrice di molti libri tra i quali Il sistema bambino (ancora Bollati Boringhieri editore): «Uno studio che ho fatto qualche anno fa su 500 bambini all’asilo, ha rivelato come la loro logica sia assolutamente razionale, ma «non limitata» al mondo reale. Ecco qualche invenzione: per andare in vacanza è comoda la casa con le ali (niente pacchi e valigie!); per stare sempre al fresco, che c’è di meglio di un albero con le ruote che ci segue dove vogliamo? E che bella invenzione la macchina per tirare le palle di neve! Evita che ci si intirizziscano le mani. Soluzioni ingegnose e originali che rivelano una grande capacità  di interrogarsi e di dare risposte» .
Altrettanto interessanti le ricerche della psicologa torinese sui bambini e l’ombra -un lungo lavoro riportato nel libro Il bambino e i suoi doppi, pubblicato da Bollati Boringhieri -che lei ci racconta così: «I bambini piccoli sanno già  molto di loro stessi, ma non hanno ancora un linguaggio adeguato per esprimersi: il disegno diventa un buon strumento di dialogo. L’ombra ad esempio, viene vista come capace di vita autonoma anche se è tratteggiata antropomorfa, o meglio bambinomorfa. Eccola, allora, nera ma con gli occhi azzurri come il bambino cui appartiene (se ci vede, non va a sbattere!), o come una sagoma rovesciata, ma ben attaccata a piedi (così non scappa come succede a Peter Pan!), oppure raffigurata di profilo, assolutamente identica al bambino, il suo doppio, insomma» . Precisa Alison Gopnik: «La domanda che si ponevano Platone e altri filosofi era: “Come facciamo a sapere così tanto del mondo?”La risposta è che i metodi di sperimentazione sembrano programmati nel nostro cervello fin dalla nascita. È grazie a questi programmi se i bambini, e tutti noi, possiamo scoprire la verità » . Ne è convinta Nicla Vassallo, docente di filosofia teoretica all’università  di Genova: «Il bambino ha un profondo bisogno di conoscenza speculativa: lo dimostra il successo, anche in Italia, degli esperimenti mentali adottati in varie scuole che si rifanno alla Philosophy for children, progetto educativo elaborato negli anni Settanta dal filosofo americano Matthew Lipman, che utilizza racconti (tradotti in Italia dall’editore Liguori, ndr) in cui i protagonisti, bambini, adolescenti, adulti dialogano su questioni di natura filosofica. Un esperimento mentale noto è quello del genio maligno di Cartesio, tratto dalle Meditazioni metafisiche, ovvero il dubbio che la realtà  sia tutta un sogno, che un genio maligno inganni su ogni cosa» .
Storia quest’ultima che il filosofo francese Jean Paul Mongin, direttore in Francia della collana Les Petits Platons ha scritto per i bambini in un libro illustrato, pubblicato in Italia da Isbn. Stesso editore anche per i libri (l’ultimo, Il concetto di Dio) di Oscar Brenifier, ormai famoso in tutto in mondo per i suoi atelier filosofici.


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