Siria, ordine di sparare su chi filma

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GERUSALEMME — «Ma che cos’aspettano gli americani per mollare Assad?» , si chiede Eyal Zisser, analista israeliano esperto di Siria: «Quando il mondo vedrà  che cosa davvero sta succedendo là  dentro, non ci sarà  choc sufficiente di fronte a quelle immagini» .
A poco a poco, immagini e choc filtrano. Ultima visione, le riprese tremanti d’un cellulare che nel weekend sono finite su Youtube e mostrano, con la fine di chi le ha girate, la nuova strategia repressiva del regime: sparare dritto su chi filma. Nessuno può dire che il video sia autentico, ma diversi indizi fanno pensare sia stato girato da un tetto di Homs. Si vedono case, balconi, antenne paraboliche. Di colpo, un soldato proprio nel palazzo di fronte. Il cameraman se ne accorge, scappa. Si sentono degli spari. Poi si rivede il soldato. Che mira sull’obiettivo e lo centra. Il cellulare che cade per terra. Urla, pianti, richieste d’aiuto. Una morte in diretta. Sono stati cento giorni di sangue, in Siria.
La protesta non cala, Assad non cade, il mondo non vede. L’oceanica manifestazione di Hama, mezzo milione in piazza, ha mosso i carri armati all’assedio, con gli abitanti che resistono dietro i sacchi di sabbia alle finestre, una decina di morti solo ieri, con la Francia che esige una parola dall’Onu, con Washington che invoca il ritiro dei tank dall’ultima città  ribelle… «C’è un caos che da Damasco s’è spostato a tutte le periferie— analizza Zisser —, lo Stato è paralizzato, l’economia alla bancarotta. Anche la borghesia, quella medioalta, sta capendo che il dittatore non è più difendibile. Ma finché l’America tace, e l’esercito della minoranza alawita resta fedele, ogni nefandezza è possibile» .
 La strategia della sopravvivenza è passata, finora, per i media. Tutti zittiti. Tutti tranne il web, sul quale arrivano le riprese del caos: il cadavere di Hamza al-Khatib, il tredicenne che gli sgherri hanno imprigionato, torturato per un mese, restituito alla famiglia orribilmente mutilato; il boicottaggio nei suk dei negozianti che sostengono Assad, coi cartelli «non paghiamo il prezzo delle vostre pallottole!» ; le cariche della polizia sulla folla inerme; le notizie sul pugile Nasser al-Shari, bronzo alle Olimpiadi di Atene, una volta star del regime e ora ferito in una manifestazione contro Assad… Più che gli slogan, a spaventare il despota sono i videofonini: «Hanno ordinato di sparare su chiunque faccia riprese che possono finire su Internet — rivela Radwan Ziadeh, leader dell’opposizione esiliato a Beirut —. Mandano agenti in borghese sui tetti a guardare chi filma dai balconi.
A volte bastano le minacce o gli spari in aria. Altre volte, ci pensano i cecchini» . C’è chi dice no, ogni tanto. E diserta. «Perché qualcosa si muove anche fra i militari — spiega Abdel Halim Kaddam, ex vicepresidente in esilio —. L’esercito vive sempre peggio questo ruolo di repressione indiscriminata. A un certo punto, si troverà  in un vicolo cieco. E sceglierà  di stare col popolo» .


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