Droni a caccia di Al Qaeda Colpito anche il numero due

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GERUSALEMME — «Taghut al Asr, il tiranno dell’era presente, ci ha colpiti ancora». La conferma che la Cia aspettava, per divulgare la notizia, è arrivata due giorni fa dall’intercettazione di due colonnelli di Al Qaeda. Sconvolti, furiosi, preoccupati. A ragione. Perché il «tiranno dell’era presente», come i qaedisti chiamano il Grande Satana, questa volta aveva centrato un bersaglio forse meno simbolico, di sicuro più pericoloso dello stesso Bin Laden. Il cosiddetto nuovo «numero due» della rete terroristica è stato ammazzato il 22 agosto in un’operazione nella terra di nessuno del Waziristan, la regione tribale nel nord del Pakistan, poco lontano dalla villetta d’Abbottabad dove il 2 maggio i corpi speciali stanarono e uccisero il capo dei capi, Osama. Atiyah Abd al-Rahman sui forum islamici lo chiamavano anche Al Libi, perché nato in Libia: 35 anni, da teenager aveva lasciato le opposizioni islamiche a Gheddafi, le stesse che ora fanno parte dei ribelli in guerra civile a Tripoli, e se n’era andato in Afghanistan a raggiungere il fondatore di Al Qaeda, diventandone pian piano il braccio armato e il naturale successore operativo.
Non si sa come l’abbiano ucciso. Rahman era uno che si muoveva spesso, rapido, nascosto. Senza scorte vistose. Entrava e usciva dall’Iran con grande facilità , circolava in piena libertà  fra Isfahan e Teheran, perché secondo fonti israeliane è stato per anni «l’ambasciatore» qaedista presso gli ayatollah. Lunedì, il giorno in cui sarebbe stato individuato e colpito, proprio sulle montagne del Waziristan c’è stata un’operazione coperta della Cia, con l’uso di droni, gli aerei senza pilota. E’ probabile che Rahman sia stato seguito nei suoi spostamenti via satellite, quindi eliminato con un bombardamento mirato: è servito forse qualche giorno, per avere da informatori sul terreno la conferma che il cadavere eccellente fosse il suo.
«La sua morte è una perdita terribile per Al Qaeda», dicono al Dipartimento della Difesa americano. Il mese scorso, visitando l’Afghanistan, il segretario Leon Panetta aveva illustrato ai suoi «la strategia dei 20»: dopo la cancellazione di Bin Laden, questo l’ordine, era «fondamentale mantenere alta la pressione» e cercare d’uccidere «al più presto possibile i venti capi» sopravvissuti a Osama. In cima alla lista dei ricercati c’è naturalmente il sessantenne Ayman Al Zawahiri, il nuovo numero uno, il medico egiziano che da maggio ha ripreso la strategia dei video, per esortare la galassia qaedista a reagire «ovunque». L’ultimo attentato all’Onu in Nigeria fa probabilmente parte di questa nuova campagna. Ma potrebbe anche essere una risposta immediata all’uccisione di Rahman, che in un ideale organigramma del terrore islamico sarebbe stato l’amministratore delegato e il direttore generale insieme, laddove Al Zawahiri fa il presidente dell’impresa: «Il materiale trovato nel compound di Bin Laden ad Abbottabad — dice una fonte d’intelligence americana — dimostra senza dubbio che Rahman aveva grandissime responsabilità  organizzative. Pianificava di persona molte delle operazioni, aveva background, esperienza e capacità  uniche. Ora che si trattava di tenere insieme la rete e di gestire la nuova strategia, Al Zawahiri aveva puntato su di lui, libico, preferendolo per esempio al misterioso Saif Al Adel, egiziano. Era molto conosciuto, rispettato dalle cellule di tutto il mondo.
Rimpiazzarlo, non sarà  tanto facile. Specie adesso, vigilia del decimo 11 settembre: se gli orfani di Bin Laden sognano il grande bis, avranno prima bisogno d’un altro numero due.


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