Il nuovo ponte d’acciaio che divide Venezia

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 Un ponte fa tremare la laguna. E i nervi lasciati scoperti dalla tormentata vicenda di quello realizzato da Santiago Calatrava sono nuovamente scossi: spunta infatti un progetto per sostituire sul Canal Grande il ponte dell’Accademia, a pochi passi da San Marco.
Ed ecco sollevarsi discussioni, approvazioni e reprimende. Favorevoli il Comune e la Soprintendenza, prudente il ministero per i Beni culturali, molto scettici architetti e urbanisti.
L’opera dovrebbe sostituire il ponte che attraversa il canale in pieno centro storico, fra le sponde dove sorgono le Gallerie dell’Accademia e Palazzo Franchetti. La polemica invade i social network, si mobilitano i comitati. È necessario rifare quel ponte? E, se è indispensabile, è corretta la procedura per intervenire in un luogo tanto pregiato? Due anni fa il Comune bandì un concorso, che si chiuse senza esiti. Ma a giugno scorso un’impresa di costruzioni bolognese, la Schiavina, e un’architetta veneziana, Giovanna Mar, che non vanta esperienze in fatto di ponti, presentano un progetto. Il Comune apprezza. Il costo, 6 milioni, sarebbe a carico dell’impresa e coperto da sponsor. Una specie di omaggio alla città . Ma quanto gratuito?
Il nuovo ponte dell’Accademia si sovrapporrà  alla vecchia struttura realizzata in legno nel 1933, e immaginata allora come provvisoria. Di fatto, però, è un oggetto del tutto diverso. I materiali sono lame d’acciaio, lastre metalliche di zinco-titanio e alluminio. Il progetto sta bruciando tutti i passaggi: ha l’approvazione della Soprintendente ai beni architettonici, Renata Codello, e l’assessore ai lavori pubblici del Comune, Alessandro Maggioni, ha assicurato che la decisione avverrà  in settembre. Ma Franco Miracco, consigliere del ministro Giancarlo Galan, frena: «È impensabile che la vicenda si risolva in sede locale. Saggiamente il direttore regionale dei Beni culturali ha inviato tutto al comitato di settore del ministero, che esaminerà  il progetto».
«Serve un nuovo ponte? Non mi sembra», interviene Edoardo Salzano, urbanista, ex preside dell’Iuav (l’Istituto universitario di architettura). «Ormai il ponte è diventato parte integrante del paesaggio veneziano. La struttura è intatta, infatti viene conservata dal nuovo progetto». È d’accordo Lidia Fersuoch, presidente della sezione veneziana di Italia Nostra: «Quel ponte non è pregiato, ma ha una sua dignità . Perché non lo si restaura?». Secondo l’assessore Maggioni, invece, «il rifacimento è indispensabile, perché i costi di manutenzione del legno sono insopportabili: negli ultimi mesi si sono anche verificati tre piccoli incendi». Eppure, aggiunge Maggioni, «non esiste pericolo di crollo».
Gli interrogativi incalzano. «Che cosa dovrà  pagare la città  per quest’opera?», insiste Salzano. «Certamente venderà  un altro pezzo di se stessa, cancellando con grandi pannelli pubblicitari parti della sua bellezza». Il rapporto fra pubblico e privato tocca un altro nervo scoperto: brucia la vendita dell’area dell’Ospedale a Mare al Lido ceduta a un fondo immobiliare che costruirà  case, alberghi e un porto. Il tutto per realizzare il Palazzo del Cinema. Che però non si farà  più.
Ma brucia anche la vicenda Calatrava. Una perizia commissionata dal Comune definisce il contestato ponte dell’architetto spagnolo «in prognosi riservata». La questione non è nuova: le sponde su cui poggia si muovono e la struttura ha bisogno di manutenzioni che fanno crescere i costi. Costi che si aggiungono ai 15 milioni finora spesi (il ponte nasceva anch’esso come un “regalo”). Autore della perizia è un professore bolognese, Massimo Majowiecki: lo stesso che firma il progetto strutturale per l’Accademia.
Molte discussioni solleva il fatto che per il nuovo ponte non si sia bandito un concorso. «Se un concorso va deserto, la legge consente la trattativa privata sulla base di quel bando», replica l’assessore Maggioni. Obietta Francesco Dal Co, storico dell’architettura all’Iuav e direttore di Casabella: «Il concorso è fondamentale per ogni opera pubblica. Ma lo è tanto più a Venezia, in quel punto del Canal Grande». «Al primo concorso per il ponte, negli anni Trenta, partecipò anche Carlo Scarpa», racconta Dal Co. E negli anni Ottanta immaginarono soluzioni gli architetti Robert Venturi e Franco Purini. «Per un’opera del genere si cimenterebbe il meglio dell’architettura internazionale», insiste Dal Co. E invece? «E invece succede che chi mette i soldi decide anche il nome dell’architetto. E questo, purtroppo, al committente pubblico va bene».


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