In Padania il tempio d’oro dei Sikh la grande festa del popolo col turbante

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Pessina Cremonese. Il tempio d’Oro della Bassa è in mezzo a campi di pannocchie e a distese di erba medica. Un parallelepipedo di cemento che vuol sembrare marmo e, attorno, decine di ragazzi che spolverano i tappeti, puliscono i vetri, scaricano le casse di pentole e di piatti appena arrivate dal Punjab.
Le cinque cupole d’oro non ci sono ancora, ma intanto si parte con l’inaugurazione. Fuori, davanti alla rete di metallo, le ciabatte abbandonate dei volontari; dentro le cucine in allestimento, le corone di fiori colorati, i festoni di carta e l’altare del Libro Sacro, il Guru Granth Sahib. Domenica, qui, aprirà  quello che con solennità  raccontano come il più grande centro culturale per la comunità  Sikh del nord Italia.
Ci hanno messo dieci anni, a realizzarlo; hanno pregato nei pollai, nelle stalle ripulite, nei capannoni abbandonati. Tutti i comuni interpellati dicevano di sì e poi al dunque arrivava un no, con i consiglieri della Lega che cercavano di raccogliere le firme per bloccare quello che sembrava far paura, così come fanno paura le moschee. Ma questo non è più il tempo delle polemiche, adesso gli indiani ce l’hanno fatta: ecco dunque il loro tempio, domenica da un elicottero lanceranno petali di fiori e migliaia di fedeli si riuniranno per mangiare e per pregare. Hanno comprato il terreno, che era agricolo; hanno aspettato che fosse cambiata la destinazione d’uso; hanno raccolto 700mila euro di donazioni e hanno chiesto alla Banca agricola bresciana un mutuo di un milione e tre. «Posso venire con mia moglie?», chiede Giampaolo Bodini, l’assessore “alle beghe” (alle liti, ndr) in pantaloncini corti. «Certo, tutti qui sono i benvenuti», risponde Singh Jatinoer, un omone col turbante blu, che è il capo della comunità  e che come tutti si chiama Singh, Leone.
Pessina Cremonese, dice il cartello; e subito specifica: «Comune libero da pregiudizi razziali». Pare un paese da nulla, meno ancora del Rio Bo di Palazzeschi. Eppure appena svolti sulla strada bianca e davanti compare la chiesa parrocchiale, ti accorgi che di fronte c’è una roulotte dove vivono i giostrai e all’albo del municipio c’è la “legge” approvata all’unanimità  dal consiglio comunale: «Quello che tu chiami straniero, è nato come te; la vera libertà  è l’affrancamento dai pregiudizi; la violenza ha le radici nella debolezza, cerca di essere forte», e poi avanti con gli articoli della Costituzione. Le vie si chiamano Gramsci, Di Vittorio e la piazza è della Repubblica. Il monumento è dedicato ai martiri della Resistenza che qui, alla barricata di Sant’Antonio, hanno avuto un grande 25 aprile e di fronte, nel palazzo del comune, ci sono in fila due coppie di indiani.
C’è poco più: un bar, che adesso è chiuso per le ferie, un negozio di alimentari. Sono 681 abitanti, 109 stranieri, 12 nazionalità , ma il 16 per cento sono Sikh. Sono i bramini della Bassa, gli unici rimasti ad alzarsi nel cuore della notte per mungere le vacche e assistere al parto dei vitelli. Vivono nelle cascine in sei, sette famiglie insieme e fuori dalle loro finestre ci sono i padelloni delle tivù satellitari. Sono loro a tenere in piedi l’economia di un’area benestante, dove non esiste la disoccupazione, ma che senza le vacche non sarebbe niente. Dalido Malaggi, che fa l’operaio in fabbrica, è il sindaco di una lista civica vicina al centrosinistra: «I Sikh – dice – ci hanno salvato. Loro lavorano dove i nostri giovani non vogliono più andare, in tanti anni che sono qui non hanno mai creato alcun problema».
Arrivano tutti dalla regione indiana del Punjab, là  dove i Sikh sono la maggioranza, là  dove, ad Amristar, c’è il tempio che almeno una volta nella vita tutti i fedeli devono andare a visitare. Un tempio straordinario, un luogo magico immerso in mezzo all’acqua dove i pellegrini trovano da mangiare e da dormire ed è un poco quello che succederà  anche qui. Si può bussare a qualsiasi ora del giorno o della notte ed essere serviti, come se l’ospitalità  fosse il più sacro dei doveri. Il custode del Libro Sacro vivrà  qui, in un suo piccolo appartamento. A Pessina, ormai, i ragazzi della seconda generazione parlano il dialetto cremonese ma continuano a nascondere i capelli – che non vanno mai tagliati – dentro un turbante colorato; vanno tutti a scuola e c’è chi è riuscito a fare il salto e a passare dalle stalle alle fabbriche.
Molti hanno comprato una casa e vestono jeans e magliette ma i matrimoni vengono ancora decisi dalle famiglie. La religione impone uno stile di vita semplice: niente alcol, niente fumo, vietato mangiare carne, pesce e uova. «Sono – racconta Giorgio Mantovani, il geometra che ha progettato il tempio – dei gran lavoratori e delle bravissime persone; per il tempio avrebbero voluto le pareti di marmo, ma non c’erano abbastanza soldi e allora ci siamo accontentati del cemento con la sabbia di quarzo che un poco gli somiglia. Lo scriva: siamo noi a doverli ringraziare».


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